Mentre Enea contempla le scene mirabili entra Didone nel tempio e questa è la similitudine che la descrive. Nota è la ripresa dei versi dell'Odissea.
498-504
Qualis in Eurotae ripis aut per iuga Cynthi
exercet Diana choros, quam mille secutae
hinc atque hinc glomerantur oreades; illa pharetram
fert umero, gradiensque deas supereminet omnis:
Latonae tacitum pertemptant gaudia pectus:
talis erat Dido, talem se laeta ferebat
per medios, instans operi regnisque futuris
«Quale sulle rive dell’Eurota o per i gioghi del Cinto / guida le danze Diana, seguendo la quale mille / Oreadi si affollano di qua e di là; ella la faretra / porta sulla spalla, e nell’incedere si eleva sopra tutte le dèe: / la gioia pervade il tacito petto di Latona: / tale era Didone, tale si muoveva lieta / attraverso i suoi, intenta alla costruzione del regno futuro».
La similitudine è ripresa da Odissea, VI vv. 102-109, dove Artemide è paragonata a Nausicaa. La situazione si presenta con molte analogia: Enea come Ulisse è un naufrago bisognoso di aiuto, Didone come Nausicaa è di stirpe regale e destinata ad ainnamorarsi. Tuttavia c’è un elemento che manca in Virgilio, che poi è ciò che rende speciale i versi di Omero, cioè il fatto che Nausicaa emerge nonostante tutte siano belle.
οἵη δ' Ἄρτεμις εἶσι κατ' οὔρεα ἰοχέαιρα,
ἢ κατὰ Τηΰγετον περιμήκετον ἢ Ἐρύμανθον,
τερπομένη κάπροισι καὶ ὠκείῃσ' ἐλάφοισι·
τῇ δέ θ' ἅμα Νύμφαι, κοῦραι Διὸς αἰγιόχοιο, 105
ἀγρονόμοι παίζουσι· γέγηθε δέ τε φρένα Λητώ·
πασάων δ' ὑπὲρ ἥ γε κάρη ἔχει ἠδὲ μέτωπα,
ῥεῖά τ' ἀριγνώτη πέλεται, καλαὶ δέ τε πᾶσαι·
ὣς ἥ γ' ἀμφιπόλοισι μετέπρεπε παρθένος ἀδμής.
«Quale Artemide saettatrice va per i monti, / o per il Taigeto sommo o per l’Erimanto, / gioendo dei cinghiali e dei veloci cervi; e insieme a lei le Ninfe, figlie di Zeus Egioco, / giocano per i campi; gode nel cuore Latona; ma su tutte si eleva quella col capo e il volto, / ed è facilmente riconoscibile, eppure tutte son belle; / così la vergine intatta si distingueva tra le ancelle».
Nel frattempo Enea e Acate riconoscono gli amici che credevano dispersi i quali parlano con Didone chiedendo ospitalità. Didone, che ancora non si è accorta di Enea perché nascosto da Venere in una nube, si scusa del trattamento non proprio amichevole.
vv. 562-564
Solvite corde metum, Teucri, secludite curas.
Res dura et regni novitas me talia cogunt
moliri, et late finis custode tueri
«Sciogliete la paura dal cuore, Teucri, allontanate l’ansia. / La situazione difficile e la novità del regno mi costringono a / prendere tali precauzioni, e a proteggere con guardie in ampiezza i confini».
A questo punto si rompe la nuvola che avvolge Enea, il quale si rivolge a Didone ammirato, dopo aver sinteticamente descritto le sue tribolate vicende.
vv. 605-6
Quae te tam laeta tulerunt
saecula? Qui tanti talem genuere parentes?
«Quali età tanto felici ti hanno / portato? Quali genitori di così grande valore ti hanno generato siffatta?».
Anche qui possiamo confrontare Enea con Ulisse, che si rivolge a Nausicaa per chiederle aiuto con le parole che seguono.
Omero, Odissea, VI, 149-63
γουνοῦμαί σε, ἄνασσα· θεός νύ τις ἦ βροτός ἐσσι;
εἰ μέν τις θεός ἐσσι, τοὶ οὐρανὸν εὐρὺν ἔχουσιν, 150
Ἀρτέμιδί σε ἐγώ γε, Διὸς κούρῃ μεγάλοιο,
εἶδός τε μέγεθός τε φυήν τ' ἄγχιστα ἐΐσκω·
εἰ δέ τίς ἐσσι βροτῶν, οἳ ἐπὶ χθονὶ ναιετάουσι,
τρὶς μάκαρες μὲν σοί γε πατὴρ καὶ πότνια μήτηρ,
τρὶς μάκαρες δὲ κασίγνητοι· μάλα πού σφισι θυμὸς 155
αἰὲν ἐϋφροσύνῃσιν ἰαίνεται εἵνεκα σεῖο,
λευσσόντων τοιόνδε θάλος χορὸν εἰσοιχνεῦσαν.
κεῖνος δ' αὖ περὶ κῆρι μακάρτατος ἔξοχον ἄλλων,
ὅς κέ σ' ἐέδνοισι βρίσας οἶκόνδ' ἀγάγηται.
οὐ γάρ πω τοιοῦτον ἴδον βροτὸν ὀφθαλμοῖσιν, 160
οὔτ' ἄνδρ' οὔτε γυναῖκα· σέβας μ' ἔχει εἰσορόωντα.
Δήλῳ δή ποτε τοῖον Ἀπόλλωνος παρὰ βωμῷ
φοίνικος νέον ἔρνος ἀνερχόμενον ἐνόησα·
«Mi inginocchio davanti a te, signora; sei una dea o una mortale? / Se sei una dea, di quelli che possiedono l’ampio cielo, / ad Artemide, figlia del grande Zeus, io ti / assimilo da molto vicino per aspetto e corporatura e portamento; / se invece sei una mortale, di quelli che abitano sulla terra, / tre volte beati per te il padre e la veneranda madre, / tre volte beati i fratelli; molto a loro il cuore / si rallegra sempre di gioia grazie a te, / mentre guardano un tale bocciolo andare alla danza. / Ma sopra gli altri nel cuore beato quello, / che caricandoti di doni ti conduca a casa. / Infatti non vidi mai con gli occhi un tale essere mortale, / né uomo né donna; mi prende venerazione a vederti. / Una volta però a Delo presso l’altare di Apollo / vidi levarsi un tale giovane virgulto di palma».
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