1112-1140
Infatti a volte gli amanti sembrano combattere.
Tandem ubi se erupit nervis collecta cupido,
parva fit ardoris violenti pausa parumper.
Inde redit rabies eadem et furor ille revisit. 1115-1117
«Infine quando la brama raccolta si sprigiona dai nervi, / si produce una piccola pausa del violento ardore e per poco. / Poi torna la medesima furia e si ripresenta quella frenesia».
E non trovano espediente per vincere il male ma «si struggono per una ferita nascosta» (tabescunt vulnere caeco1). Si consumano le forze, la vita passa sottomessi al cenno di un’altra persona (alterius sub nutu degitur aetas, v. 1122), il patrimonio si consuma e soprattutto languent officia atque aegrotat fama vacillans, «stagnano i doveri e la fama incerta langue» (v. 1124). Segue un elenco delle spese sostenute per corteggiare l’amante, spese che sperperano bene parta patrum, «i beni dei padri onestamente prodotti» (v. 1129); e tutto questo però è fatto
nequiquam, quoniam medio de fonte leporum
surgit amari aliquid quod ipsis floribus angat, 1133-1134
«invano, poiché dal mezzo della fonte dei piaceri / sgorga un che di amaro che provoca angoscia proprio nei fiori».
I motivi di tale angoscia sono il pensiero di una vita sprecata senza far nulla, o perché una parola ambigua ha creato un equivoco e subentra la gelosia.
vv. 1141-1145
Atque in amore mala haec proprio summeque secundo
inveniuntur; in adverso vero atque inopi sunt,
prendere quae possis oculorum lumine operto,
innumerabilia; ut melius vigilare sit ante,
qua docui ratione, cavereque ne inliciaris. 1141-1145
«E questi mali si trovano in un amore che ci appartine e sommamente / favorevole; invece in uno contrario e per cui non ci sono risorse, / ce ne sono innumerevoli che puoi cogliere / a occhi chiusi; sicché è meglio stare in guardia prima, / con il sistema che ho insegnato, e stare attenti a non essere adescati».
Qui si conclude la descrizione della patologia e segue quella della terapia.
nam vitare, plăgas in amoris ne iaciamur,
non ita difficile est quam captum retibus ipsis
exire et validos Veneris perrumpere nodos.
et tamen implicitus quoque possis inque peditus
effugere infestum, nisi tute tibi obvius obstes
et praetermittas animi vitia omnia primum
aut quae corporis sunt eius, quam praepetis ac vis. vv. 1146-1152
«Infatti evitare di gettarsi nei lacci d’amore / non è così difficile quanto, una volta catturato nelle reti stesse, / uscirne e spezzare i saldi nodi di Venere. / E tuttavia anche una volta stretto nei lacci e inceppato potresti / schivare il pericolo, se non fossi tu a ostacolarti andondole incontro / e prima di tutto non lasciassi passare tutti i vizi dell’animo / o quelli del corpo, che ci sono, di colei che desideri al massimo e vuoi».
Il consiglio dunque è di pensare ai difetti dell’amante, cosa di cui si ricorderà Ovidio nei Remedia amoris.
1 Un’espressione quasi identica si trova in Virgilio, Eneide, IV, vv. 1-2 a proposito di Didone innamorata di Enea: At regina gravi iamdudum saucia cura / vulnus alit venis et caeco carpitur igni, «Ma la regina già da tempo ferita da pesante affanno / nutre la ferita nelle vene ed è consumata da un fuoco nascosto». In Virgilio l’amore è ancora più esecrato che in Lucrezio.
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