vv. 214-270
(primo episodio)
Me. Donne di Corinto, sono uscita dal palazzo
215 affinché non mi rimproveriate qualcosa; so infatti che molti mortali
sono risultati altezzosi, alcuni lontano dagli occhi,
altri all’esterno; altri ancora per un piede tranquillo
hanno acquisito la cattiva fama di indifferenza.
Non c’è giustizia infatti negli occhi dei mortali,
220 se chiunque, prima di aver conosciuto il cuore di un uomo con chiarezza
lo odia nel vederlo, senza aver subito alcun torto.
Invece uno straniero deve adeguarsi assolutamente alla città
né approvo il cittadino che divenuto arrogante,
è aspro con i concittadini per ignoranza.
225 A me questa disgrazia inaspettata che mi è piombata addosso
ha rovinato la vita; sono perduta e avendo
perduto il piacere della vita, desidero morire, care.
Colui nel quale infatti c’era tutto per me, lo so bene,
è risultato il peggiore degli uomini, il mio sposo.
230 Tra tutte le cose quante sono animate e hanno senno
noi donne siamo la creatura più misera:
per prima cosa con una quantità esagerata di denaro dobbiamo
comprarci uno sposo e prenderlo come padrone
del corpo; e questo è un male ancora più doloroso del male.
235 E in questo (consiste) la gara più grande, prenderlo cattivo
o buono. Non procurano buona reputazione le separazioni
alle donne, e non è possibile ripudiare un marito.
Poi giunta in nuovi costumi e leggi
bisogna che sia un’indovina, se non lo ha appreso da casa,
240 (per sapere) di chi si avvarrà soprattutto come marito.
E se con noi che ci sforziamo in questo con successo
il marito convive sopportando il giogo non per forza,
allora la vita è invidiabile; se no, bisogna morire.
Un uomo, invece, qualora fosse oppresso dalla convivenza con quelli di casa,
245 andato fuori fa cessare la noia dal cuore,
[volgendosi ad un amico o a dei coetanei];
per noi invece è necessario puntare su una sola persona.
Dicono di noi che viviamo una vita
priva di pericoli in casa, mentre loro combattono con la lancia;
250 pensando male (però): giacché tre volte di fianco allo scudo
preferirei stare piuttosto che partorire una sola volta.
Ma questo discorso non giunge a te e a me uguale:
tu hai questa città e la casa paterna
e agiatezza di vita e compagnia di amici,
255 io invece, che sono abbandonata senza città subisco prepotenze
da un uomo, dopo essere stata rapita da un terra barbara,
senza avere una madre, un fratello, un consanguineo
per trovare ormeggio da questa disgrazia.
Tanto dunque io vorrò ottenere da te,
260 se trovassi una strada e uno stratagemma
per fa pagare al marito il fio di questi mali
[e a chi gli ha dato la figlia e a colei che ha sposato],
di tacere. La donna infatti, piena è di paura nelle altre cose
e vile nei confronti della forza e a guardare un’arma;
265 ma quando si trovi ad aver subito un’offesa nel letto,
non c’è altro cuore più sanguinario.
Co. Lo farò; giustamente infatti punirai lo sposo,
Medea. Io non mi stupisco che tu compianga la sorte.
Ma vedo che anche Creonte, signore di questa terra,
270 avanza, nunzio di nuove decisioni.
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