Il dialogo, breve, verte sul problema se l’involontarietà nel compiere il male sia o meno un’attenuante.
Si parte da una una questione posta da Socrate al sofista Ippia di Elide (364b):
ἀτὰρ τί δὴ λέγεις ἡμῖν περὶ τοῦ Ἀχιλλέως τε καὶ τοῦ Ὀδυσσέως; πότερον ἀμείνω καὶ κατὰ τί φῂς εἶναι;
«Ma cosa ci dici a proposito di Achille e di Odisseo? chi dei due dici che è migliore e secondo cosa?»
Ippia risponde così (364c):
φημὶ γὰρ Ὅμηρον πεποιηκέναι ἄριστον μὲν ἄνδρα Ἀχιλλέα τῶν εἰς Τροίαν ἀφικομένων, σοφώτατον δὲ Νέστορα, πολυτροπώτατον δὲ Ὀδυσσέα.
«Dico infatti che Omero ha fatto Achille come l’uomo migliore tra quelli giunti a Troia, Nestore il più sapiente, Odisseo il più multiforme nell’ingegno».
L’aggettivo πολύτροπος, usato qui al superlativo e nel senso di «scaltro», «tessitore d’inganni», è invece l’epiteto che caratterizza positivamente l’eroe nel primo verso dell’Odissea, di cui riporto il proemio (vv. 1-3):
Ἄνδρα μοι ἔννεπε, Μοῦσα, πολύτροπον, ὃς μάλα πολλὰ
πλάγχθη, ἐπεὶ Τροίης ἱερὸν πτολίεθρον ἔπερσε·
πολλῶν δ' ἀνθρώπων ἴδεν ἄστεα καὶ νόον ἔγνω,
«L’uomo a me narra, o Musa, versatile, che davvero molto / vagò, dopo che distrusse la sacra rocca di Troia; / di molti uomini vide le città e conobbe la mente».
Ippia specifica, poco dopo il suo pensiero, aggiungendo che Achille è ἁπλούστατος καὶ ἀληθέστατος (364d), «schietto e veritiero al massimo», come emerge dai versi citati (Iliade, X, 308-314) che non casualmente Omero fa pronunciare da Achille nei confronti di Odisseo:
Διογενὲς Λαερτιάδη, πολυμήχαν' Ὀδυσσεῦ,
χρὴ μὲν δὴ τὸν μῦθον ἀπηλεγέως ἀποειπεῖν,
ὥσπερ δὴ κρανέω τε καὶ ὡς τελέεσθαι ὀίω·
ἐχθρὸς γάρ μοι κεῖνος ὁμῶς Ἀΐδαο πύλῃσιν,
ὅς χ' ἕτερον μὲν κεύθῃ ἐνὶ φρεσίν, ἄλλο δὲ εἴπῃ.
αὐτὰρ ἐγὼν ἐρέω, ὡς καὶ τετελεσμένον ἔσται.
«Laerziade di stirpe divina, Odisseo dalle molte risorse, / è necessario certo manifestare francamente il pensiero, come lo realizzerò e come penso che si compirà; / infatti quello mi è odioso come le porte dell’Ade, / che una cosa occulti nel cuore, un’altra dica. / Ma io dirò come anche sarà compiuto».
Il testo originale è leggermente diverso:
διογενὲς Λαερτιάδη πολυμήχαν' Ὀδυσσεῦ
χρὴ μὲν δὴ τὸν μῦθον ἀπηλεγέως ἀποειπεῖν,
ᾗ περ δὴ φρονέω τε καὶ ὡς τετελεσμένον ἔσται,
ὡς μή μοι τρύζητε παρήμενοι ἄλλοθεν ἄλλος.
ἐχθρὸς γάρ μοι κεῖνος ὁμῶς Ἀΐδαο πύλῃσιν
ὅς χ' ἕτερον μὲν κεύθῃ ἐνὶ φρεσίν, ἄλλο δὲ εἴπῃ.
αὐτὰρ ἐγὼν ἐρέω ὥς μοι δοκεῖ εἶναι ἄριστα·
In questi versi Achille, dopo aver accolto amichevolmente i tre ambasciatori (Fenice, Aiace e Odisseo), rifiuta sdegnato la proposta di Odisseo che su mandato di Agamennone gli promette, in cambio del ritorno ai posti di combattimento, una ricca ricompensa: sette tripodi, dieci talenti d’oro, venti lebeti, dodici cavalli campioni e in più sette donne lesbie, oltre a Briseide (con la quale, assicura, Agamennone non si è ancora accoppiato), subito, e dopo la conquista di Troia altre venti tra le prigioniere (le più belle dopo Elena); infine bottino a non finire. Al ritorno in patria Agamennone gli avrebbe poi dato in sposa una delle tre figlie (Crisotemi, Laodice, Ifianassa) con sette castelli in dote.
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