lunedì 7 ottobre 2024

Il mito di Prometeo – Platone, Protagora, 320c-322d – 1° parte

 

Platone, Protagora, 320c-322d


Δοκεῖ τοίνυν μοι, ἔφη, χαριέστερον εἶναι μῦθον ὑμῖν λέγειν.

«Mi sembra dunque, disse1, che sia più piacevole raccontare un mito»

Ἦν γάρ ποτε χρόνος ὅτε θεοὶ μὲν ἦσαν, θνητὰ δὲ γένη [d] οὐκ ἦν. ἐπειδὴ δὲ καὶ τούτοις χρόνος ἦλθεν εἱμαρμένος γενέσεως, τυποῦσιν αὐτὰ θεοὶ γῆς ἔνδον ἐκ γῆς καὶ πυρὸς μείξαντες καὶ τῶν ὅσα πυρὶ καὶ γῇ κεράννυται.

«C’era dunque un tempo quando gli dèi esistevano, ma le stirpi mortali non esistevano. Ma dopo che anche per queste giunse il tempo destinato della genesi, gli dèi le modellano dentro la terra facendo una miscela di terra e fuoco e di quante cose risultano dalla fusione con fuoco e terra».

ἐπειδὴ δ' ἄγειν αὐτὰ πρὸς φῶς ἔμελλον, προσέταξαν Προμηθεῖ καὶ Ἐπιμηθεῖ κοσμῆσαί τε καὶ νεῖμαι δυνάμεις ἑκάστοις ὡς πρέπει.

«E poi quando erano sul punto di condurle alla luce, ordinarono a Prometeo e a Epimeteo2 organizzare e attribuire le capacità a ciascuna specie come si conviene».

Προμηθέα δὲ παραιτεῖται Ἐπιμηθεὺς αὐτὸς νεῖμαι, "Νείμαντος δέ μου," ἔφη, "ἐπίσκεψαι·" καὶ οὕτω πείσας νέμει. νέμων δὲ τοῖς μὲν ἰσχὺν ἄνευ τάχους προσῆπτεν, [e] τοὺς δ' ἀσθενεστέρους τάχει ἐκόσμει· τοὺς δὲ ὥπλιζε, τοῖς δ' ἄοπλον διδοὺς φύσιν ἄλλην τιν' αὐτοῖς ἐμηχανᾶτο δύναμιν εἰς σωτηρίαν.

«Epimeteo chiede a Prometeo di fare lui l’attribuzione: “Io attribuisco”, disse, “e tu sovrintendi.” E avendolo così persuaso fa l’attribuzione. Nell’attribuire ad alcuni applicava forza senza velocità, quelli più deboli li dotava di velocità; alcuni li armava, dando invece ad altri una natura inerme escogitava per loro una qualche altra capacità per la salvezza».

ἃ μὲν γὰρ αὐτῶν σμικρότητι ἤμπισχεν, πτηνὸν φυγὴν ἢ κατάγειον οἴκησιν ἔνεμεν· ἃ δὲ ηὖξε μεγέθει, τῷδε [321] [a] αὐτῷ αὐτὰ ἔσῳζεν· καὶ τἆλλα οὕτως ἐπανισῶν ἔνεμεν.

«A quelli infatti tra loro che rivestiva di piccole dimensioni, attribuiva una fuga alata o una dimora sotterranea

ταῦτα δὲ ἐμηχανᾶτο εὐλάβειαν ἔχων μή τι γένος ἀϊστωθείη· ἐπειδὴ δὲ αὐτοῖς ἀλληλοφθοριῶν διαφυγὰς ἐπήρκεσε, πρὸς τὰς ἐκ Διὸς ὥρας εὐμάρειαν ἐμηχανᾶτο ἀμφιεννὺς αὐτὰ πυκναῖς τε θριξὶν καὶ στερεοῖς δέρμασιν, ἱκανοῖς μὲν ἀμῦναι χειμῶνα, δυνατοῖς δὲ καὶ καύματα, καὶ εἰς εὐνὰς ἰοῦσιν ὅπως ὑπάρχοι τὰ αὐτὰ ταῦτα στρωμνὴ οἰκεία τε καὶ αὐτοφυὴς ἑκάστῳ· καὶ [b] ὑποδῶν τὰ μὲν ὁπλαῖς, τὰ δὲ [θριξὶν καὶ] δέρμασιν στερεοῖς καὶ ἀναίμοις.

«Queste cose escogitava avendo cura che nessuna specie si estinguesse; e dopo che fornì loro scampo dalle uccisioni reciproche, escogitò una comoda protezione contro le stagioni di Zeus, rivestendoli di fitte pellicce e pelli robuste, sufficienti a difendere dal freddo, capaci anche contro il caldo, e, quando capitasse di andare a letto, come coperta propria e connaturata a ciascuno; poi applicando sotto ad alcuni zoccoli, ad altri peli e pelli robuste e senza sangue»

τοὐντεῦθεν τροφὰς ἄλλοις ἄλλας ἐξεπόριζεν, τοῖς μὲν ἐκ γῆς βοτάνην, ἄλλοις δὲ δένδρων καρπούς, τοῖς δὲ ῥίζας· ἔστι δ' οἷς ἔδωκεν εἶναι τροφὴν ζῴων ἄλλων βοράν· καὶ τοῖς μὲν ὀλιγογονίαν προσῆψε, τοῖς δ' ἀναλισκομένοις ὑπὸ τούτων πολυγονίαν, σωτηρίαν τῷ γένει πορίζων.

«Quindi procuro alcuni nutrimenti ad alcuni altri ad altri, ad alcuni erba cresciuta dalla terra, ad altri frutti di alberi, ad altri ancora radici; ci sono anche quelli a cui diede come nutrimento la preda di altri animali; e agli uni assegnò scarsità di prole, mentre a quelli catturati da questi abbondanza di prole, procurando salvezza alla specie».

1 È Protagora di Abdera che parla a Socrate che gli ha chiesto se la virtù politica sia insegnabile: secondo lui non sembra, dato che molti ne mancano, a partire dai figli dei grandi politici. Il sofista allora gli spiega il suo punto di vista con un mito.

2 Prometeo ed Epimeteo sono fratelli e sono nomi parlaniti: il primo significa «che comprende prima» (πρό, «prima» e μανθάνω, «comprendo»), il secondo «che comprende dopo» (ἐπί, «dopo» e μανθάνω, «comprendo»).

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