II.
1. ’Quare multa bonis uiris aduersa eueniunt?' Nihil accidere bono uiro mali potest: non miscentur contraria. Quemadmodum tot amnes, tantum superne deiectorum imbrium, tanta medicatorum uis fontium non mutant saporem maris, ne remittunt quidem, ita aduersarum impetus rerum uiri fortis non uertit animum: manet in statu et quidquid euenit in suum colorem trahit; est enim omnibus externis potentior.
«1. “Perché agli uomini buoni capitano molte avversità?” Nulla di male può accadere all’uomo buono: non si mescolano i contrari. Proprio come tanti fiumi, tante piogge precipitate dal cielo, una così grande abbondanza di fonti curative non mutano il gusto del mare, nemmeno lo attenuano, così l’assalto delle avversità non piega l’animo dell’uomo forte: rimane in posizione e qualsiasi cosa capiti se ne appropria dandogli il proprio colore1; è infatti più potente di tutte le cose esterne».
2. Nec hoc dico, non sentit illa, sed uincit, et alioqui quietus placidusque contra incurrentia attollitur. Omnia aduersa exercitationes putat. Quis autem, uir modo et erectus ad honesta, non est laboris adpetens iusti et ad officia cum periculo promptus? Cui non industrio otium poena est?
«2. E non dico questo, che non le percepisce, ma che le vince, e in altre situazioni pacifico e tranquillo si solleva contro gli assalti, Tutte le avversità le considera allenamenti. Chi, purché sia un uomo vero e indirizzato a imprese onorevole, non è desideroso di una giusta fatica2 e disposto a correre pericoli per i doveri? Per quale persona operosa l’ozio non è una punizione?»
3. Athletas uidemus, quibus uirium cura est, cum fortissimis quibusque confligere et exigere ab iis per quos certamini praeparantur ut totis contra ipsos uiribus utantur; caedi se uexarique patiuntur et, si non inueniunt singulos pares, pluribus simul obiciuntur.
«3. Noi vediamo gli atleti, che hanno a cuore il vigore dei corpi, scontrarsi con tutti i più forti e esigere da coloro attraverso i quali si preparano alla gara, che usino contro di loro tutte le forze; si lasciano ferire e maltrattare e, se non trovano singoli alla loro altezza, si scagliano contro più di uno contemporaneamente».
4. Marcet sine aduersario uirtus: tunc apparet quanta sit quantumque polleat, cum quid possit patientia ostendit. Scias licet idem uiris bonis esse faciendum, ut dura ac difficilia non reformident nec de fato querantur, quidquid accidit boni consulant, in bonum uertant; non quid sed quemadmodum feras interest.
«4. Marcisce la virtù senza un avversario: allora appare quanto sia grande e quanto valga, quando mostra ciò di cui è capace con la sopportazione. Sappi pure che la medesima cosa devono fare gli uomini buoni, cioè non temere le cose dure e difficili3 né lamentarsi del fato, qualsiasi cosa accada prenderla per un bene, volgerla in bene; non cosa, ma come sopporti fa la differenza».
1 La traduzione letterale sarebbe «la tira verso il proprio colore», cioè se ne appropria rendendola un vantaggio. Per chiarire l’espressione è utile un passo di Schopenhauer, Parerga e paralipomena II, Capitolo ventiduesimo, Pensare da sé: «257. Come la più ricca biblioteca, se è in disordine, non è utile, quanto una piuttosto modesta, ma ben ordinata; parimenti la più grande quantità di conoscenze se non elaborate a fondo con il proprio pensiero vale assai meno di una quantità molto minore di esse, che però sia stata pensata a fondo e da più punti di vista. Infatti soltanto mediante la combinazione, svolta in ogni senso, di quello che sappiamo, e mediante il confronto di ogni verità con ogni altra, è possibile assimilare il proprio saper e averne sicuro possesso. Si può pensare a fondo soltanto ciò che si sa, perciò bisogna imparare qualcosa, ma si sa, altresì, soltanto ciò che si è pensato a fondo… 260. La lettura non è che un surrogato del pensiero autonomo… Bisogna leggere, dunque, soltanto quando la sorgente dei pensieri propri cessa di sgorgare… Invece, è un peccato contro lo spirito santo scacciare i pensieri propri…
Anche se alle volte una verità, una intuizione, che siamo riusciti a cogliere con molta fatica e lentamente, pensando e combinando i nostri pensieri in modo autonomo, si sarebbe potuta trovare bella e pronta e agevolmente in un libro, quella verità è tuttavia cento volte più preziosa, se si è raggiunta pensando da sé… porta il colore, la sfumatura, l’impronta del nostro intero modo di pensare… Perciò i versi di Goethe:
Ciò che hai in eredità dai padri
guadagnalo per possederlo
… Colui che pensa da sé impara a conoscere le autorità che confermano le sue vedute soltanto in seguito… mentre il filosofo libresco parte dalle autorità».
2 L’idea risale a Esiodo, Opere, 289 τῆς δ' ἀρετῆς ἱδρῶτα θεοὶ προπάροιθεν ἔθηκαν, «davanti alla virtù gli dèi hanno posto il sudore». La stessa torna altrove in Seneca: Epistulae, 31, 7: non est viri timere sudorem, «non è da uomini temere il sudore»; 67, 12: cape, quantam debes, virtutis pulcherrimae ac magnificentissimae speciem, quae nobis non ture nec sertis, sed sudore et sanguine colenda est, «devi capire, è tuo dovere, lo splendore della bellissima e magnificentissima virtù, che noi dobbiamo onorare non con incenso e corone, ma con sudore e sangue».
3 Anche perché come dice Socrate in Repubblica, VI, 497d: τὰ γὰρ δὴ μεγάλα πάντα ἐπισφαλῆ, καὶ τὸ λεγόμενον τὰ καλὰ τῷ ὄντι χαλεπά, «tutte le cose grandi sono rischiose, e c’è il detto le cose belle sono in raltà dificcili».
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