Alla vista di Enea la reazione di Didone viene così descritta.
614-5
Obstipuit primo aspectu Sidonia Dido,
casu deinde viri tanto, et sic ore locuta est
«Rimase immobile per lo stupore la sidonia Didone prima vedendolo , / poi per la vicenda così grande dell’eroe, e così si espresse a parole».
630
Non ignara mali, miseris succurrere disco.
«Non ignara del male, imparo a soccorrere i miseri».
Qui è espresso il topos del πάθει μάθος, la cui formulazione con queste efficaci parole risale a Eschilo, Agamennone, 177, ma si trova in molti altri autori:
Esiodo, Opere e giorni, vv. 217-218
δίκη δ' ὑπὲρ ὕβριος ἴσχει
ἐς τέλος ἐξελθοῦσα· παθὼν δέ τε νήπιος ἔγνω.
«Ma giustizia prevale sulla prepotenza, / quando alla fine arriva; anche uno stolto comprende soffrendo».
Eschilo, Agamennone, 177
Ζῆνα δέ τις προφρόνως ἐπινίκια κλάζων
τεύξεται φρενῶν τὸ πᾶν,
τὸν φρονεῖν βροτοὺς ὁδώ-
σαντα, τὸν πάθει μάθος
θέντα κυρίως ἔχειν.
«Chi intona a Zeus con gioia il canto della vittoria / otterrà in tutto saggezza, / Zeus che ha avviato i mortali ad essere saggi, / che ha stabilito come legge principale / attraverso la sofferenza la comprensione».
Eschilo, Prometeo, 391
ἡ σή, Προμηθεῦ, συμφορὰ διδάσκαλος
«La tua disgrazia, Prometeo, è maestra».
Sofocle, Edipo a Colono, 567-68
ἔξοιδ’ ἀνὴρ ὢν χὤτι τῆς ἐς αὔριον
οὐδὲν πλέον μοι σοῦ μέτεστιν ἡμέρας.
«So di essere un uomo e che il giorno di / domani non appartiene affatto più a me che a te».
Un’affermazione di umanesimo da esemplare come quella di Antigone:
Sofocle, Antigone, 523
Οὔτοι συνέχθειν, ἀλλὰ συμφιλεῖν ἔφυν.
«Sono nata per condividere non certo l’odio, ma l’amore».
Euripide, Medea, 34
ἔγνωκε δ' ἡ τάλαινα συμφορᾶς ὕπο
«Ha compreso l'infelice dalla disgrazia»
Euripide, Alcesti, 940
ἄρτι μανθάνω
«ora comprendo»
Questa di Admeto nell’Alcesti è una resipiscenza tardiva, dopo essersi pentito per morire la moglie al posto suo.
Platone, Repubblica, X, 619 c-d
εἶναι δὲ αὐτὸν τῶν ἐκ τοῦ οὐρανοῦ ἡκόντων, ἐν τεταγμένῃ πολιτείᾳ ἐν τῷ προτέρῳ βίῳ βεβιωκότα, ἔθει ἄνευ φιλοσοφίας ἀρετῆς μετειληφότα. ὡς δὲ καὶ εἰπεῖν, οὐκ ἐλάττους εἶναι ἐν τοῖς τοιούτοις ἁλισκομένους τοὺς ἐκ τοῦ οὐρανοῦ ἥκοντας, ἅτε πόνων ἀγυμνάστους: τῶν δ᾽ ἐκ τῆς γῆς τοὺς πολλούς, ἅτε αὐτούς τε πεπονηκότας ἄλλους τε ἑωρακότας, οὐκ ἐξ ἐπιδρομῆς τὰς αἱρέσεις ποιεῖσθαι.
«Era egli di quelli giunti dal cielo, e aveva vissuto nella vita precedente in uno stato disciplinato, partecipando della virtù per abitudine senza filosofia. Ma per così dire, non erano in numero minore ad essere colti in siffatti comportamenti coloro che erano giunti dal cielo, in quanto non allenati alle sofferenze; invece tra quelli risaliti dalla terra i più, siccome avevano sofferto in prima persona e avevano visto altri soffrire, non di fretta compivano le scelte».
Polibio, Storie, I, 35, 7
δυεῖν γὰρ ὄντων τρόπων πᾶσιν ἀνθρώποις τῆς ἐπὶ τὸ βέλτιον μεταθέσεως, τοῦ τε διὰ τῶν ἰδίων συμπτωμάτων καὶ τοῦ διὰ τῶν ἀλλοτρίων, ἐναργέστερον μὲν εἶναι συμβαίνει τὸν διὰ τῶν οἰκείων περιπετειῶν, ἀβλαβέστερον δὲ τὸν διὰ τῶν ἀλλοτρίων.
«Essendo infatti due i modi del cambiamento in meglio per tutti gli uomini, uno attraverso le sventure proprie e l'altro attraverso quelle altrui, succede che sia più evidente (efficace) quello attraverso le peripezie personali, ma meno dannoso quello attraverso le peripezie altrui».
Nietzsche, Umano, troppo umano, I
Parte terza, La vita religiosa
109. Dolore è conoscenza. Ora la tragedia è questa, che non si può credere a quei dogmi della religione e della metafisica, se si porta nel cuore e nella mente il severo metodo della verità, e d'altra parte si è divenuti attraverso l'evoluzione dell'umanità così delicati, eccitabili e sofferenti, da aver bisogno di mezzi di salute e di consolazione della più alta specie; dal che sorge quindi il pericolo che l'uomo si dissangui sulla verità conosciuta. Ciò esprime Byron in versi immortali:
Sorrow is knowledge: they who know the most
Must mourn the deepest o’er the fatal truth,
The Tree of Knowledge is not that of life.1
Contro tali cure, nessun mezzo giova più dell'evocare, almeno per le ore più tristi e buie dell'anima, la solenne leggerezza di Orazio, e del dire a se stessi con lui:
quid aeternis minorem
consiliis animum fatigas?
Cur non sub alta vel platano vel hac
pinu iacentes...2
[...] Quei dolori possono essere veramente penosi, ma senza dolori non si può diventare una guida e un educatore dell'umanità.
Nietzsche, Umano, troppo umano, II
Parte prima, Opinioni e sentenze
48. Aver molta gioia. Chi ha molta gioia, dev'essere un brav'uomo: ma forse non è il più intelligente, benché raggiunga proprio ciò che il più intelligente con tutta la sua intelligenza cerca di raggiungere.
Nietzsche, La gaia scienza, libro primo
13. Per la teoria del sentimento di potenza. … il dolore si pone sempre il problema della causa, mentre il piacere tende ad arrestarsi su se stesso e a non guardarsi indietro.
Nietzsche, Genealogia della morale
seconda dissertazione, «colpa», «cattiva coscienza» e simili, 3
«Si incide a fuoco qualcosa affinché resti nella memoria: soltanto quel che non cessa di dolorare resta nella memoria» – è questo un assioma della più antica (purtroppo anche più longeva) psicologia sulla terra…
Nausicaa reagisce con uno stile diverso, ma anche lei umanamente:
Odissea, VI, vv. 189-190
ξεῖν', ἐπεὶ οὔτε κακῷ οὔτ' ἄφρονι φωτὶ ἔοικας,
Ζεὺς δ' αὐτὸς νέμει ὄλβον Ὀλύμπιος ἀνθρώποισιν,
ἐσθλοῖσ' ἠδὲ κακοῖσιν, ὅπως ἐθέλῃσιν, ἑκάστῳ·
καί που σοὶ τά γ' ἔδωκε, σὲ δὲ χρὴ τετλάμεν ἔμπης.
«Straniero, siccome non sembri una creatura né cattiva né stupida, / Zeus Olimpio in persona attribuisce felicità agli uomini, / buoni e cattivi, come vuole a ciascuno; / e a te questo ha dato, ed è necessario che tu lo sopporti in ogni caso».
E più avanti, vv. 207-208: πρὸς γὰρ Διός εἰσιν ἅπαντες / ξεῖνοί τε πτωχοί τε, δόσις δ' ὀλίγη τε φίλη τε, «infatti vengono tutti da Zeus / stranieri e mendicanti, e un dono anche piccolo è gradito».
1 «Dolore è la conoscenza: coloro che conoscono più di tutti / devono soffrire più profondamente di tutti per questa fatale verità, / l'albero della conoscenza non è quello della vita» (Byron, Manfredi, I, 1, 11-13).
2 fugit retro / levis iuventas et decor, arida / pellente lascivos amores / canitie facilemque somnum. / Non semper idem floribus est honor / vernis neque uno luna rubens nitet / voltu: quid aeternis minorem / consiliis animum fatigas? / Cur non sub alta vel platano vel hac / pinu iacentes (11-14) sic temere et rosa / canos odorati capillos,/ dum licet, Assyriaque nardo / potamus uncti? «Fugge dietro a noi la leggera gioventù e la grazia, mentre l'arida / vecchiaia scaccia i lascivi amori / e il facile sonno. / Non è sempre la stessa la bellezza dei fiori / primaverili né la luna rosseggiante risplende con un solo / volto: perché stanchi con eterni progetti / un cuore che è più piccolo? / Perché, sdraiati così alla buona sotto un alto platano / o sotto questo pino / coi capelli grigi profumati di rosa / e unti di nardo assiro, / finché è possibile, perché non beviamo?» (Orazio, Odi, II, 11, vv. 5-17).
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