sabato 5 ottobre 2024

Gloria o popolarità? – Seneca, Cicerone e la nostra classe dirigente.

Faccio un’aggiunta al post sull’epistola 79 di Seneca.

Questo è il passo in questione:

13Gloria umbra virtutis est: etiam invitam comitabitur. Sed quemadmodum aliquando umbra antecedit, aliquando sequitur vel a tergo est, ita gloria aliquando ante nos est visendamque se praebet, aliquando in averso est maiorque quo serior, ubi invidia secessit. 
«13. La gloria è l’ombra della virtù: la accompagna anche se non vuole. Ma come a volte l’ombra precede, altre volte segue o è alle spalle, così la gloria a volte è davanti a noi e si offre alla vista, altre volte dalla parte opposta e più grande quanto più tardiva, quando l’invidia si sia ritirata».


Mi sembra che qui Seneca echeggi un passo di Cicerone da cui riprende la similitudine tra gloria e virtù, correggendo però la funzione dell’ombra, che in Cicerone è negativa, qui invece positiva. Inoltre si nota molto bene la differenza di stile tra i due autori e, a mio parere, la netta superiorità di Seneca nel creare immagini vive, nonostante anche l’Arpinate qui sia pregevole.

Il passo è tratto da (Tusculanae disputationes, III, 3):

[3] Est enim gloria solida quaedam res et expressa, non adumbrata; ea est consentiens laus bonorum, incorrupta vox bene iudicantium de eccellenti virtute, ea virtuti resonat tamquam imago; quae quia recte factorum plerumque comes est, non est bonis viris repudianda., 
« [3] È infatti la gloria una cosa concreta e ben definita, non un’ombra vaga; essa è la lode unanime dei buoni, voce incorrotta di chi giudica bene sulla virtù che eccelle, essa per la virtù risuona come un’eco; e siccome per lo più è compagna di azioni rettamente compiute, non deve essere rifiutata dagli uomini virtuosi», 
[4] Illa autem, quae se eius imitatricem esse volt, temeraria atque inconsiderata et plerumque peccatorum vitiorumque laudatrix, fama popularis, simulatione honestatis formam eius pulchritudinemque corrumpit, 
«[4] Quella poi che pretende di essere imitatrice di questa, irrazionale e avventata e per lo più incensatrice di peccati e vizi, la popolarità, con la falsa apparenza dell’onestà corrompe la bellezza ideale e morale di quella».


 Del passo di Cicerone mi sembra di particolare attualità la distinzione tra gloria e popolarità: oggi la prima appartiene a chi ha delle virtù che non possono essere contraffatte, come i campioni dello sport; molti politici e sedicenti intellettuali, invece, non possono vantare di certo la prima, ma spesso neanche la seconda. Ormai la televisione è diventata un’agenzia di propaganda editoriale: viene da pensare che altrimenti i libri reclamizzati non sarebbero letti nemmeno dai pochi che li leggono.

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