martedì 29 ottobre 2024

Platone, Ippia minore – sulla volontarietà del male – 3° parte

 Ippia ha spostato la discussione sul piano morale, quello del bene e del male, ma Socrate rimane del suo parere (372d):

ἐμοὶ γὰρ φαίνεται, ὦ Ἱππία, πᾶν τοὐναντίον ἢ ὃ σὺ λέγεις· οἱ βλάπτοντες τοὺς ἀνθρώπους καὶ ἀδικοῦντες καὶ ψευδόμενοι καὶ ἐξαπατῶντες καὶ ἁμαρτάνοντες ἑκόντες ἀλλὰ μὴ ἄκοντες, βελτίους εἶναι ἢ οἱ ἄκοντες.

«A me infatti sembra, o Ippia, tutto il contrario di quello che dici tu: coloro che danneggiano gli uomini e commettono ingiustizia e mentono e ingannano e sbagliano volontariamente, non invece involontariamente, sono migliori di coloro che lo fanno involontariamente».


La parte finale del dialogo presenta una serie di esempi in cui il filo conduttore è che per voler fare qualcosa male bisogna saperla fare bene, dunque la volontà di fare il male presuppone la capacità di fare il bene; il più convincente è questo (374c):


Πότερον οὖν ἂν δέξαιο πόδας κεκτῆσθαι ἑκουσίως χωλαίνοντας ἢ ἀκουσίως;

«Preferiresti possedere dei piedi che zoppicano volontariamente o involontariamente?».


Questa è la conclusione paradossale (376a):


ἡ δυνατωτέρα καὶ ἀμείνων ψυχή, ὅτανπερ ἀδικῇ, ἑκοῦσα ἀδικήσει, ἡ δὲ πονηρὰ ἄκουσα.

«L’anima più capace e migliore, qualora appunto commetta ingiustizia, la commetterà volontariamente, mentre quella malvagia involontariamente».

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