Capitolo 1
– apollineo e dionisiaco –
Il primo capitolo è quello in cui vengono esposti i due principi cardine del libro:
Lo sviluppo dell’arte è legato alla duplicità dell’apollineo e del dionisiaco, similmente a come la generazione dipende dalla dualità dei sessi, attraverso una continua lotta e una riconciliazione che interviene solo periodicamente.
I nomi utilizzati si riallacciano alle due divinità artistiche dei Greci da cui dipende la nostra conoscenza che
nel mondo greco sussiste un enorme contrasto… fra l’arte dello scultore, l’apollinea, e l’arte non figurativa della musica, quella di Dioniso.
I due impulsi dunque, che sono molto diversi, per lo più procedono contrapponendosi e producendo così i frutti artistici, il cui culmine però viene raggiunto quando
per un miracoloso atto metafisico della «volontà» ellenica, appaiono accoppiati l’uno all’altro, e in questo accoppiamento producono finalmente l’opera d’arte altrettanto dionisiaca che apollinea della tragedia attica.
Per comprendere i due impulsi bisogna immaginarli come i due mondi artistici del sogno e dell’ebbrezza, corrispondenti ad apollineo e dionisiaco. Nel sogno per esempio si manifestarono gli dèi per la prima volta alle menti umane secondo Lucrezio (V, 1169-71):
quippe etenim iam tum divom mortalia saecla
egregias animo facies vigilante videbant
et magis in somnis mirando corporis auctu.
«poiché infatti già allora le generazioni mortali vedevano / con la mente sveglia le straordinarie immagini degli dèi / e di più nei sogni per la mirabile grandezza del corpo».
Dunque un poeta greco, ricordandosi del sogno, avrebbe insegnato quello che insegna Hans Sachs nei Maestri Cantori di Wagner (III, 2, vv. 1934-1939):
Amico mio, proprio questa è l’opera del poeta,
che egli interpreti e noti il suo sognare.
Credetemi, la più vera illusione dell’uomo
gli viene aperta nel sogno:
ogni arte poetica e poesia
non è che interpretazione del sogno vero.
La bella parvenza dei mondi del sogno, nella cui produzione ogni uomo è artista pieno, è il presupposto di ogni arte figurativa… Nella comprensione immediata della figura noi godiamo… Tuttavia, nonostante la vita suprema di questa realtà sognata, traluce ancora in noi il sentimento della sua illusione.
L’uomo filosofico si comporta analogamente con la realtà della vita e quindi ne ipotizza un’altra dietro, considerando questa un’illusione. Addirittura Schopenhauer vede come segno distintivo dell’attitudine filosofica il dono vedere, a volte, uomini e cose di questo mondo come meri fantasmi (Supplementi a Il mondo come volontà e rappresentazione, I, 16):
Nell’ambito teoretico, il prendere le mosse da concetti è sufficiente solo a produrre realizzazioni mediocri, e che per ottenerne di eccellenti, al contrario, occorre attingere dall'intuizione stessa come fonte originaria di tutte le conoscenze. Nell’ambito pratico, però, si verifica la cosa opposta: qui è l’animale a essere determinato dall’intuizione, mentre per l'uomo, il cui agire è guidato dai concetti e che, perciò, è emancipato dalla potenza di ciò che è immediatamente presente nell'intuizione, cui l'animale è incondizionatamente sottoposto, questo è qualcosa di indegno. Nella misura in cui l'uomo fa valere questo suo privilegio, il suo agire si può definire razionale […]
Non è facile, però, lasciarsi determinare solamente da concetti: persino sul temperamento più forte il mondo esterno che ci circonda da vicino esercita, con la sua realtà intuitiva, una forte influenza. Ma è proprio nella vittoria su questa impressione, nell'annullamento dei suoi illusori giochi di prestigio, che lo spirito umano mostra la propria dignità e la propria grandezza. Così, quando gli stimoli del piacere e del godimento non lo toccano, o quando le minacce e la collera dei nemici inferociti non lo scuotono, quando le suppliche degli amici che si ingannano non lo rendono incerto quanto alle proprie scelte, quando le illusioni di cui viene circondato dagli intrighi concertati non gli fanno perdere la sua imperturbabilità, quando lo scherno dei folli e dei plebei non gli fa perdere la padronanza di sé, né gli fa mettere in dubbio il proprio valore: ecco, allora egli sembra stare sotto l’influsso di un mondo spirituale (e si tratta appunto del mondo dei concetti) visibile solamente a lui, dinanzi al quale ciò che è presente intuitivamente e che è alla portata di tutti svanisce come un fantasma.
Poi Nietzsche procede dicendo che
Come il filosofo si comporta con la realtà dell’esistenza, così l’uomo artisticamente eccitabile si comporta con la realtà del sogno.
Dunque presta attenzione e con le immagini dei sogni spiega la vita, immagini che non sono solo piacevoli e che spesso sono come «tutta la “Divina Commedia”, con l’inferno»: egli soffre e vive insieme a queste scene, ma non senza il senso dell’illusione, come quando in un sogno anche non piacevole tendiamo a voler continuare il sogno. Tutto ciò dimostra come noi sperimentiamo il sogno sia con piacere sia con necessità, che i Greci hanno rappresentato nel dio Apollo, che presiede alle arti e alla divinazaione e che domina anche «la bella parvenza del mondo intimo della fantasia». Dunque questa superiore condizione che si eleva al di sopra della realtà quotidiana è in un rapporto simbolico con le arti per cui la vita viene è degna di essere vissuta.
Tuttavia perché il sogno non agisca patologicamente ci deve essere una linea che non può essere oltrepassata; da qui l’immagine di Apollo con
quella moderata limitazione, quella libertà dalle emozioni più violente, quella calma piena di saggezza del dio plastico… anche quando è in collera e guarda di malumore, spira da esso la solennità della bella parvenza.
Apollo nel frontone occidentale del tempio di Zeus a Olimpia |
E così potrebbe valere per Apollo, in senso eccentrico, ciò che Schopenhauer dice dell’uomo irretito nel velo di Maia: «Come sul mare in furia, che, sconfinato da ogni parte, solleva e sprofonda ululando montagne di onde, un navigante siede su un battello, confidando nella debole imbarcazione; così l’individuo sta placidamente in mezzo a un mondo di affanni, appoggiandosi e confidando nel principium individuationis» («ossia nel modo in cui l’individuo conosce le cose in quanto fenomeni»; così si conclude la frase tratta da Il mondo come volontà e rappresentazione, IV, 63).
Nello stesso luogo Schopenhauer ci ha descritto l’immenso orrore che afferra l’uomo, quando… perde la fiducia nelle forme di conoscenza dell’apparenza… Se a questo orrore aggiungiamo l’estatico rapimento, che, per la stessa violazione del principium individuationis, sale dall’intima profondità dell’uomo, anzi della natura, riusciamo allora a gettare uno sguardo nell’essenza del dionisiaco, a cui ci accostiamo di più ancora attraverso l’analogia con l’ebbrezza.
Riporto il passo di Schopenhauer, che è la continuazione di quello precedente:
Il mondo sconfinato, pieno ovunque di sofferenze nell’infinito passato e nell’infinito futuro, gli rimane estraneo, anzi, lo considera una vera e propria fiaba: la sua microscopica persona, il suo presente privo di estensione, il suo star bene che dura lo spazio di un istante, solo essi, per lui, hanno realtà, ed egli fa di tutto per conservarli, fino a quando una conoscenza migliore non gli apra gli occhi. Fino a quel momento vive a malapena nella più nascosta profondità della sua coscienza il presentimento del tutto oscuro che quel mondo non gli sia poi così estraneo, ma che abbia con lui una relazione dalla quale il principium individuationis non lo può proteggere. Da questo presentimento discende quell'orrore invincibile e comune a tutti gli uomini (e forse addirittura anche agli animali più intelligenti), che li afferra repentinamente quando, per un caso qualsiasi, smarriscono il principium individuationis, quando il principio di ragione, in una qualsiasi delle sue forme, sembra subire un’eccezione: per esempio, quando sembra che un cambiamento si produca da sé, senza causa, o che un morto ritorni in vita, o che in qualsiasi maniera il passato o il futuro diventino presenti, o il lontano diventi vicino. L’enorme terrore per questo genere di cose si fonda sul fatto che ci troviamo all'improvviso smarriti di fronte a qualcosa che esula dalle forme conoscitive del fenomeno, che sono le sole a tenere distinto il loro proprio individuo dal resto del mondo.
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