Passiamo al secondo punto considerando il rapporto tra sapere, inteso come τέχνη, e sapienza, intesa come scienza del bene, senza la quale nessuna tecnica è utile1. Per Erodoto addirittura la tecnica non solo non è utile ma è dannosa alla radice, come fa dire allo spartano Licas: ἐπὶ κακῷ ἀνθρώπου σίδηρος ἀνεύρηται, «il ferro è stato inventato per il male degli uomini» (I, 68, 4). Amico di Erodoto e ideologicamente in sintonia con lui è Sofocle che connette la critica della tecnica all’ambiguità dell’uomo, visto come problema:
πολλὰ τὰ δεινὰ κοὐδὲν ἀν-θρώπου δεινότερον πέλει
«molte sono le cose inquietanti e nulla è più inquietante dell’uomo», così esordisce il coro nel primo stasimo dell’Antigone (vv. 332-333); prosegue quindi con una rassegna dei principali ritrovati della tecnica per poi aggiungere (364-371):
σοφόν τι τὸ μηχανόεν
τέχνας ὑπὲρ ἐλπίδ᾽ ἔχων
τοτὲ μὲν κακόν, ἄλλοτ᾽ ἐπ᾽ ἐσθλὸν ἕρπει,
νόμους περαίνων χθονὸς
θεῶν τ᾽ ἔνορκον δίκαν,
ὑψίπολις: ἄπολις ὅτῳ τὸ μὴ καλὸν
ξύνεστι τόλμας χάριν.
«possedendo il ritrovato della tecnica / che è una forma di sapere, oltre l'aspettativa, / si volge a volte al male, a volte al bene; / attuando le leggi della terra / e la giustizia giurata degli dèi, / è alto nella città: fuori dalla città / quello con cui non conviva il bello, / per l’audacia».
«Il poeta Sofocle, in quanto è insieme pensatore religioso»2, afferma dunque l’insufficienza della mente umana nel cogliere la dimensione divina dell’autentica sapienza. Nell’Edipo re, infatti, il peccato del protagonista non è solo e non tanto l’assassinio del padre e l’unione con la madre, quanto la ὕβρις intellettuale, come emerge dalla tracotante affermazione dei vv. 396-398 in cui rivendica di aver sconfitto la Sfinge coi soli mezzi della propria intelligenza:
ἀλλ’ ἐγὼ μολών,
ὁ μηδὲν εἰδὼς Οἰδίπους, ἔπαυσά νιν,
γνώμῃ κυρήσας οὐδ’ ἀπ’ οἰωνῶν μαθών
«ma io dopo essere giunto, / io Edipo che non sapevo nulla, la feci cessare, / avvalendomi dell’intelligenza e senza avere appreso nulla dal volo degli uccelli3».
Nell’Edipo a Colono troviamo la suprema manifestazione di sapienza. Le parole con cui Teseo accoglie Edipo, macchiatosi delle peggiori infamie, sono una di quelle macchie di luce sofoclée che hanno folgorato Nietzsche4 (vv. 567-568):
ἔξοιδ’ ἀνὴρ ὢν χὤτι τῆς ἐς αὔριον
οὐδὲν πλέον μοι σοῦ μέτεστιν ἡμέρας.
«so di essere un uomo e che del domani / niente appartiene più a me che a te».
È la consapevolezza che homo, sacra res homini5, «l’uomo (è) cosa sacra per l’uomo»: humanitas come la più alta forma di sapienza.
1 ἡ τοῦ ἀγαθοῦ ἰδέα μέγιστον μάθημα […] εἰ δὲ μὴ ἴσμεν, ἄνευ δὲ ταύτης εἰ ὅτι μάλιστα τἆλλα ἐπισταίμεθα, οἶσθ’ ὅτι οὐδὲν ἡμῖν ὄφελος, «l’idea del bene è il massimo apprendimento […] se non la conosciamo, senza questa, se sappiamo al meglio le altre cose, capisci che niente è per noi un vantaggio» (Platone, Repubblica, 505a).
2 Nietzsche, La nascita della tragedia, 9.
3 Come sappiamo da Ammiano Marcellino (XXI, 1, 9) auguria et auspicia non volucrum arbitrio futura nescientium conliguntur - nec enim hoc vel insipiens quisquam dicet - sed volatus avium dirigit deus, «auguri e auspici si raccolgono non per volontà dei volatili, che non conoscono il futuro – né infatti affermerebbe ciò un qualsiasi stolto – ma un dio indirizza il volo degli uccelli».
4 È uno delle funzioni dell’apollineo in Sofocle (La nascita della tragedia, 9): «se prescindiamo per un momento dal carattere dell'eroe che sale alla superficie e diventa visibile… e se penetriamo invece nel mito che si proietta in questi chiari riflessi, sperimentiamo improvvisamente un fenomeno che sta in rapporto inverso a un noto fenomeno ottico. Quando noi, dopo un fermo tentativo di fissare il sole, ci rivolgiamo abbagliati, abbiamo allora davanti agli occhi, quasi come un rimedio, scure macchie colorate; inversamente, quelle proiezioni luminose dell’eroe sofocléo, insomma l’apollineo della maschera, sono prodotti necessari di uno sguardo gettato nell’intimità e terribilità della natura, per così dire macchie luminose per sanare l'occhio offeso dall'orrenda notte. Solo in questo senso possiamo credere di comprendere rettamente il concetto serio e importante della “serenità greca”».
p.s.
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