giovedì 20 febbraio 2025

Il diritto dl più forte in Tucidide – Meli e Ateniesi

Dialogo dei Meli e degli Ateniesi

V – 89, 92-95, 102-105

 

Nell’estate del 416 a.C. una spedizione Ateniese si dirigeva contro la neutrale isola di Melo (l’odierna Milo con l’attuale pronuncia, dove è stata ritrovata la famosa statua di Venere) per intimarle, pena l’annientamento, di entrare nella lega navale Delio-Attica. Atene non poteva tollerare che qualcuno non si sottomettesse alla sua sfera di influenza prediletta, il mare. Tucidide riporta, in forma drammatica, i colloqui tra i delegati ateniesi e i rappresentanti meli; è una concessione, unica nell’opera di Tucidide, alle movenze tipiche del teatro, che si può spiegare con l’importanza ideologica che l’episodio riveste nel pensiero dello storiografo: qui infatti viene teorizzata la legge più importante della storia, che vale anche per i rapporti umani, cioè la legge del più forte.

I Meli alla fine decidono eroicamente di resistere, ma come previsto, vengono annientati: tutti i maschi adulti vengono uccisi, donne e bambini venduti come schiavi e l’isola viene assegnata a coloni ateniesi.

Euripide concepì in questa occasione le Troiane, che comunque compose nei mesi immediatamente successivi e rappresentò nella primavera del 415 a.C. come anatema contro la guerra dei forti contro i deboli: non poteva sfuggire agli Ateniesi il nesso con questo episodio.


89

ΑΘ. ἡμεῖς τοίνυν οὔτε αὐτοὶ μετ᾽ ὀνομάτων καλῶν, ὡς ἢ δικαίως τὸν Μῆδον καταλύσαντες ἄρχομεν ἢ ἀδικούμενοι νῦν ἐπεξερχόμεθα, λόγων μῆκος ἄπιστον παρέξομεν, οὔθ᾽ ὑμᾶς ἀξιοῦμεν ἢ ὅτι Λακεδαιμονίων ἄποικοι ὄντες οὐ ξυνεστρατεύσατε ἢ ὡς ἡμᾶς οὐδὲν ἠδικήκατε λέγοντας οἴεσθαι πείσειν, τὰ δυνατὰ δ᾽ ἐξ ὧν ἑκάτεροι ἀληθῶς φρονοῦμεν διαπράσσεσθαι, ἐπισταμένους πρὸς εἰδότας ὅτι δίκαια μὲν ἐν τῷ ἀνθρωπείῳ λόγῳ ἀπὸ τῆς ἴσης ἀνάγκης κρίνεται, δυνατὰ δὲ οἱ προύχοντες πράσσουσι καὶ οἱ ἀσθενεῖς ξυγχωροῦσιν.

At. «Noi dunque  né offriremo noi stessi un’inaffidabile lunghezza di discorsi fatti con belle parole (dicendo) che o comandiamo giustamente in quanto abbiamo sconfitto il Persiano o giungiamo ora avendo subito un torto, né riteniamo giusto che voi pensiate di persuaderci dicendo o che, pur essendo coloni dei Lacedemoni, non avete combattuto insieme a loro o che non ci avete fatto nessun torto, ma (riteniamo giusto) che siano messe in pratica azioni possibili, a partire dalle quali entrambi ragioniamo con verità, essendo a conoscenza, nei confronti di persone che (a loro volta) sanno, che le cose giuste nel ragionamento umano sono giudicate a partire da una pari necessità, mentre quelli più forti fanno le cose possibili e i deboli cedono».

92

ΜΗΛ. καὶ πῶς χρήσιμον ἂν ξυμβαίη ἡμῖν δουλεῦσαι, ὥσπερ καὶ ὑμῖν ἄρξαι;

Me. «E come risulterebbe utile a noi asservirci, come anche a voi comandare»»

93

ΑΘ. ὅτι ὑμῖν μὲν πρὸ τοῦ τὰ δεινότατα παθεῖν ὑπακοῦσαι ἂν γένοιτο, ἡμεῖς δὲ μὴ διαφθείραντες ὑμᾶς κερδαίνοιμεν ἄν.

At. «per il fatto che per voi sottomettervi sarebbe al posto di subire le sorti più terribili, mentre noi guadagneremmo a non distruggervi».

94

ΜΗΛ. ὥστε [δὲ] ἡσυχίαν ἄγοντας ἡμᾶς φίλους μὲν εἶναι ἀντὶ πολεμίων, ξυμμάχους δὲ μηδετέρων, οὐκ ἂν δέξαισθε;

Me. «Sicché non accettereste che noi stando in pace fossimo amici invece che nemici, ma alleati di nessuno dei due?»

95

ΑΘ. οὐ γὰρ τοσοῦτον ἡμᾶς βλάπτει ἡ ἔχθρα ὑμῶν ὅσον ἡ φιλία μὲν ἀσθενείας, τὸ δὲ μῖσος δυνάμεως παράδειγμα τοῖς ἀρχομένοις δηλούμενον.

At. No, infatti la vostra ostilità non ci danneggia tanto quanto l’amicizia, che per i sudditi è un chiaro esempio di debolezza, mentre l’odio lo è di potenza.

102

ΜΗΛ. ἀλλ᾽ ἐπιστάμεθα τὰ τῶν πολέμων ἔστιν ὅτε κοινοτέρας τὰς τύχας λαμβάνοντα ἢ κατὰ τὸ διαφέρον ἑκατέρων πλῆθος: καὶ ἡμῖν τὸ μὲν εἶξαι εὐθὺς ἀνέλπιστον, μετὰ δὲ τοῦ δρωμένου ἔτι καὶ στῆναι ἐλπὶς ὀρθῶς.

Me. «Ma noi sappiamo che le vicende della guerra talvolta comportano sorti più equilibrate che secondo il differente numero dei due contendenti: e per noi il cedere è subito privo di speranza, mentre con l’azione c’è ancora speranza di restare in piedi».

103

ΑΘ. [1] ἐλπὶς δὲ κινδύνῳ παραμύθιον οὖσα τοὺς μὲν ἀπὸ περιουσίας χρωμένους αὐτῇ, κἂν βλάψῃ, οὐ καθεῖλεν: τοῖς δ᾽ ἐς ἅπαν τὸ ὑπάρχον ἀναρριπτοῦσι δάπανος γὰρ φύσει ἅμα τε γιγνώσκεται σφαλέντων καὶ ἐν ὅτῳ ἔτι φυλάξεταί τις αὐτὴν γνωρισθεῖσαν οὐκ ἐλλείπει. [2] ὃ ὑμεῖς ἀσθενεῖς τε καὶ ἐπὶ ῥοπῆς μιᾶς ὄντες μὴ βούλεσθε παθεῖν μηδὲ ὁμοιωθῆναι τοῖς πολλοῖς, οἷς παρὸν ἀνθρωπείως ἔτι σῴζεσθαι, ἐπειδὰν πιεζομένους αὐτοὺς ἐπιλίπωσιν αἱ φανεραὶ ἐλπίδες, ἐπὶ τὰς ἀφανεῖς καθίστανται μαντικήν τε καὶ χρησμοὺς καὶ ὅσα τοιαῦτα μετ᾽ ἐλπίδων λυμαίνεται.

At. «La speranza, che è un conforto nel pericolo, quelli che la usano a partire da sovrabbondanza, anche se li danneggia, non li annienta; ma per coloro che la gettano in tutto ciò che hanno (è prodiga infatti per natura) è riconosciuta nel fallimento e proprio nel momento in cui uno potrà ancora guardarsene, non la abbandona, anche se è stata riconosciuta per quello che è. E voi, che siete deboli e avete una sola possibilità, non vogliate subire ciò né essere assimilati ai più, che pur avendo ancora la possibilità di salvarsi con mezzi umani, dopo che, schiacciati, li abbiano abbandonati le speranze visibili, si rivolgono a quelle invisibili, cioè la mantica e gli oracoli e quante cose del genere li rovinano insieme alle speranze».

104

ΜΗΛ. χαλεπὸν μὲν καὶ ἡμεῖς εὖ ἴστε νομίζομεν πρὸς δύναμίν τε τὴν ὑμετέραν καὶ τὴν τύχην, εἰ μὴ ἀπὸ τοῦ ἴσου ἔσται, ἀγωνίζεσθαι: ὅμως δὲ πιστεύομεν τῇ μὲν τύχῃ ἐκ τοῦ θείου μὴ ἐλασσώσεσθαι, ὅτι ὅσιοι πρὸς οὐ δικαίους ἱστάμεθα, τῆς δὲ δυνάμεως τῷ ἐλλείποντι τὴν Λακεδαιμονίων ἡμῖν ξυμμαχίαν προσέσεσθαι, ἀνάγκην ἔχουσαν, καὶ εἰ μή του ἄλλου, τῆς γε ξυγγενείας ἕνεκα καὶ αἰσχύνῃ βοηθεῖν. καὶ οὐ παντάπασιν οὕτως ἀλόγως θρασυνόμεθα.

Me. «Anche noi (sappiatelo bene) riteniamo difficile combattere contro la vostra potenza e contro la sorte, se non sarà alla pari; tuttavia confidiamo che nella sorte da parte della divinità non saremo da meno, in quanto da uomini pii ci opponiamo a uomini non giusti, e a ciò che manca della potenza si aggiungerà l’alleanza dei Lacedemoni che ha necessità, se non per altro, almeno per la comunanza di stirpe e senso dell’onore, di soccorrerci. E non così del tutto irrazionalmente siamo audaci».

105

ΑΘ. [1] τῆς μὲν τοίνυν πρὸς τὸ θεῖον εὐμενείας οὐδ᾽ ἡμεῖς οἰόμεθα λελείψεσθαι: οὐδὲν γὰρ ἔξω τῆς ἀνθρωπείας τῶν μὲν ἐς τὸ θεῖον νομίσεως, τῶν δ᾽ ἐς σφᾶς αὐτοὺς βουλήσεως δικαιοῦμεν ἢ πράσσομεν. [2] ἡγούμεθα γὰρ τό τε θεῖον δόξῃ τὸ ἀνθρώπειόν τε σαφῶς διὰ παντὸς ὑπὸ φύσεως ἀναγκαίας, οὗ ἂν κρατῇ, ἄρχειν: καὶ ἡμεῖς οὔτε θέντες τὸν νόμον οὔτε κειμένῳ πρῶτοι χρησάμενοι, ὄντα δὲ παραλαβόντες καὶ ἐσόμενον ἐς αἰεὶ καταλείψοντες χρώμεθα αὐτῷ, εἰδότες καὶ ὑμᾶς ἂν καὶ ἄλλους ἐν τῇ αὐτῇ δυνάμει ἡμῖν γενομένους δρῶντας ἂν ταὐτό.

At. «Quanto alla benevolenza verso la divinità nemmeno noi pensiamo di essere da meno: niente infatti pretendiamo o facciamo al di fuori dell’umana credenza nei confronti degli dèi e della volontà nei confronti di noi stessi. Riteniamo infatti che la divinità secondo l’opinione e l’umanità chiaramente in ogni circostanza per necessità di natura, dove sia più forte prevalga; e noi né avendo stabilito la legge né avendola usata per primi mentre vigeva, ma avendola ereditata che già c’era ed essendo destinati a lasciarla in eredità perché esista per sempre, la usiamo, sapendo che anche voi e altri, se foste nella nostra stessa condizione di potenza, fareste lo stesso».

[3] καὶ πρὸς μὲν τὸ θεῖον οὕτως ἐκ τοῦ εἰκότος οὐ φοβούμεθα ἐλασσώσεσθαι: τῆς δὲ ἐς Λακεδαιμονίους δόξης, ἣν διὰ τὸ αἰσχρὸν δὴ βοηθήσειν ὑμῖν πιστεύετε αὐτούς, μακαρίσαντες ὑμῶν τὸ ἀπειρόκακον οὐ ζηλοῦμεν τὸ ἄφρον. [4] Λακεδαιμόνιοι γὰρ πρὸς σφᾶς μὲν αὐτοὺς καὶ τὰ ἐπιχώρια νόμιμα πλεῖστα ἀρετῇ χρῶνται: πρὸς δὲ τοὺς ἄλλους πολλὰ ἄν τις ἔχων εἰπεῖν ὡς προσφέρονται, ξυνελὼν μάλιστ᾽ ἂν δηλώσειεν ὅτι ἐπιφανέστατα ὧν ἴσμεν τὰ μὲν ἡδέα καλὰ νομίζουσι, τὰ δὲ ξυμφέροντα δίκαια. καίτοι οὐ πρὸς τῆς ὑμετέρας νῦν ἀλόγου σωτηρίας ἡ τοιαύτη διάνοια.

«Anche in relazione alla divinità, così come è verosimile, non temiamo di essere da meno; quanto invece all’opinione sui Lacedemoni, secondo la quale confidate che vi soccorreranno per senso dell’onore, felicitandoci per la vostra ingenuità non invidiamo la follia. I Lacedemoni infatti nei confronti propri e delle istituzioni locali per lo più praticano la virtù; invece nei confronti degli altri uno pur potendo dire molte cose su come si comportano, riassumendo al massimo potrebbe dimostrare come la cosa più evidente che sappiamo, che chiamano belle le cose piacevoli e utili quelle giuste. E di certo un tale pensiero non è dalla parte della vostra ora irrazionale speranza di salvezza».

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