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(in aggiornamento)
Capitolo 10
Il mito è recuperato dalla musica
La tradizione ci attesta che in origine contenuto fondamentale della tragedia erano le sofferenze di Dioniso. Fino a Euripide Dioniso, nascosto dietro le varie figure del mito, fu l’unico eroe della tragedia; che dietro queste figure ci sia una divinità spiega il loro carattere ideale. Che nei cori tragici si venerasse Dioniso emerge da Erodoto (V, 67, 5), che sta parlando del nonno materno di Clistene, il fondatore della democrazia ateniese, omonimo del nipote, che a Sicione voleva eliminare il culto dell’eroe Adrasto sostituendolo con quello di Melanippo:
Τά τε δὴ ἄλλα οἱ Σικυώνιοι ἐτίμων τὸν Ἄδρηστον καὶ δὴ πρὸς τὰ πάθεα αὐτοῦ τραγικοῖσι χοροῖσι ἐγέραιρον, τὸν μὲν Διόνυσον οὐ τιμῶντες, τὸν δὲ Ἄδρηστον. Κλεισθένης δὲ χοροὺς μὲν τῷ Διονύσῳ ἀπέδωκε.
«In altri modi i Sicioni onoravano Adrasto e anche per le sue sofferenze lo celebravano con cori tragici, non onorando Dioniso, ma Adrasto. Clistene però li restituì a Dioniso».
Qualcuno ha detto che gli individui in quanto tali sono comici, non tragici; il qualcuno in questione è Schopenhauer (Il mondo come volontà e rappresentazione, IV, 58, p. 380):
La vita di ogni singolo individuo, ove la si abbracci nella sua interezza e in generale e se ne mettano in evidenza solo i caratteri più significativi, è sempre, in verità, una tragedia; ma se la prendiamo in esame nei particolari, assume i caratteri della commedia. Poiché le attività e l'affanno della giornata, l'incessante presa in giro dell'attimo, i desideri e i timori della settimana, gli incidenti di ogni ora, procurati da un caso sempre pronto a giocarci qualche brutto tiro, sono vere e proprie scene di una commedia. Ma i desideri che non trovano mai appagamento, lo sforzo che viene frustrato, le speranze che vengono calpestate in modo impietoso dal destino, gli sciagurati errori dell'intera vita, con le sofferenze che aumentano e la morte in attesa alla fine, ci danno sempre una tragedia. E così, come se il destino avesse voluto aggiungere alla miseria della nostra esistenza anche la beffa, la nostra vita deve contenere in sé tutti i dolori della tragedia, mentre noi non siamo in grado di conservare nemmeno una volta la dignità del personaggio tragico, e siamo destinati a essere, negli innumerevoli eventi particolari della vita, dei goffi caratteri da commedia.
Si può dedurre che i Greci non tolleravano individui sulla scena tragica; in effetti la distinzione platonica tra idea e copia è radicata nella sensibilità greca. Dunque si può dire che Dioniso in quanto idea, cioè unica realtà, appare in varie forme nella maschera di un eroe in lotta, preso nella rete dell’individualità. Nel dramma poi il dio che appare nell’eroe parla e agisce con epica determinatezza e questo è l’effetto di Apollo che chiarisce al coro il suo stato dionisiaco si estasi.
Quell’eroe però è il Dioniso sofferente dei misteri, di cui i miti narrano come da fanciullo fu fatto a pezzi dai Titani sperimentando l’individuazione ed essendo così venerato come Zagreus. Dunque la sofferenza di Dioniso è questo sbranamento, cioè l’individuazione che dunque è la fonte di ogni sofferenza.
Dal sorriso di questo Dioniso sono nati gli dèi olimpici, dalle sue lacrime gli uomini.
Ma la speranza degli epopti si indirizzava a una rinascita da intendere come fine dell’individuazione; tale speranza nella venuta di un terzo Dioniso a porre fine al mondo smembrato in individui è simboleggiato dal mito di Demetra, che immersa nella tristezza, si rallegra per la prima volta quando le si dice che può generare ancora una volta Dioniso. Dalle considerazioni fatte emerge una visione del mondo pessimistica e
una dottrina misterica della tragedia: la conoscenza fondamentale dell’unità di tutto ciò che esiste, la concezione dell’individuazione come causa prima del male, l’arte come lieta speranza che il dominio dell’individuazione possa essere spezzato, come presentimento di una ripristinata unità.
Si è detto prima che l’epos rappresenta la vittoria degli dèi olimpici sul terribile mondo dei Titani. Ora per il potente influsso della poesia tragica i miti omerici riemergono trasformati, come per una metempsicosi, segnando il superamento della cultura olimpica, vinta da un’altra più profonda. Il Titano Prometeo avverte l’olimpio Zeus che si deve alleare con lui e così in Eschilo vediamo questa alleanza di Zeus impaurito: il mondo dei Titani riemerge così dal Tartaro.
La filosofia della natura selvaggia e nuda guarda con il volto scoperto della verità i miti del mondo omerico che… tremano di fronte all’occhio lampeggiante di questa dea – finché il polso potente dell’artista dionisiaco non li costrinse a servire la nuova divinità. La verità dionisiaca assume l’intera sfera del mito come simbolismo delle proprie conoscenze… ma sempre sotto l’antica veste mitica.
Qui Nietzsche sta dicendo che il mito che dominava il mondo omerico in chiave apollinea stava scomparendo, ma la tragedia lo ha riportato a nuova vita trasformato. Ma quale fu la forza che permise ciò, liberando Prometeo dai suoi avvoltoi? Fu la musica, che seppe reinterpretare il mito. È infatti il destino di ogni mito subire un processo di razionalizzazione e finire con l’essere ridotto a realtà storica, e i Greci erano già a buon punto. Si pensi alla nascita del pensiero filosofico e della storiografia. È questo il modo in cui si estinguono le religioni: quando cioè il dogmatismo ortodosso organizza in sistema i presupposti mitici e si comincia a difendere la credibilità dei miti, togliendo loro ogni vitalità. In sintesi al sentimento del mito si sostituisce pretesa di fondatezza storica della religione.
Dopo quest’ultimo sfolgorio, esso reclina, le sue foglie appassiscono, e subito i beffardi Luciani dell’antichità cercano di ghermire i fiori scoloriti e inariditi, portati via da tutti i venti. Con la tragedia il mito perviene al suo contenuto più profondo, alla sua forma più espressiva; si solleva ancora una volta, come un eroe ferito, e tutto il residuo di forza, e insieme la calma piena di saggezza del morente, gli arde nell’occhio con un ultimo, potente bagliore.
Qui emerge la singolarità della tesi nietzschiana, secondo cui il V secolo rappresenta l’inizio della decadenza, non l’apice, della civiltà greca, tema che sarà l’oggetto della seconda parte dell’opera.
Che cosa volevi, empio Euripide, quando cercasti di costringere ancora una volta questo morente a servirti? Morì fra le tue braccia violente.
Dunque Euripide sentì il bisogno di un mito imitato, mascherato e morendo il mito moriva anche il genio della musica, pure questa imitata e mascherata.
E poiché avevi abbandonato Dioniso, anche Apollo abbandonò te. Scova tutte le passioni dalla loro tana e racchiudile nel tuo cerchio magico, aguzza e lima per i discorsi dei tuoi eroi una dialettica sofistica – anche i tuoi eroi hanno solo passioni imitate e mascherate, e pronunciano solo discorsi imitati e mascherati.
Fin qui dunque la nascita e lo sviluppo della tragedia; ne seguito si analizzerà la morte della tragedia.
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