Dunque ormai Dioniso era stato espulso dal teatro da una potenza che parlava per bocca di Euripide.
Anche Euripide era in certo senso solo maschera: la divinità che parlava per sua bocca non era Dioniso e neanche Apollo, bensì un demone di recentissima nascita, chiamato Socrate. È questo il nuovo contrasto: il dionisiaco e il socratico, e l’opera d’arte della tragedia greca perì a causa di esso.
Anche se Euripide poi ritrattò e, come Cadmo, fu trasformato in drago dai giudici della posterità, ciò non può consolarci per il fatto che il più magnifico di tutti i tempi è ormai in rovina.
Vediamo dunque questa tendenza socratica che distrusse la tragedia eschilea. Quale scopo aveva Euripide fondando il dramma eliminando il dionisiaco, quale forma di dramma restava eliminando la fonte da cui nasceva, cioè la musica? Solo l’epos drammatizzato che è un dominio artistico dell’apollineo: questa forza epico-apollinea è talmente potente che, attraverso il velo dell’illusione, riesce a trasformare in bellezza le cose più orrende; il poeta epico non si fonde mai con le figure rappresentate, mantiene sempre un certo distacco, per così dire le vede davanti a sé. In questo epos drammatizzato l’attore rimane fondamentalmente rapsodo, sicché non è mai del tutto attore.
Ma in quale rapporto sta, rispetto a questo ideale del dramma apollineo, il dramma euripideo? Nello stesso rapporto in cui, rispetto al rapsodo solenne dell’epoca antica, sta quel giovane rapsodo che nello Ione di Platone così descrive il suo essere: «Quando dico qualcosa di triste, gli occhi mi si riempiono di lagrime; se invece quello che dico è terribile e orrendo, allora mi si rizzano i capelli in testa per lo spavento e il cuore mi batte forte».
Questo è il testo Platonico (Platone, Ione, 535c), tradotto letteralmente da Nietzsche:
ἐγὼ γὰρ ὅταν ἐλεινόν τι λέγω, δακρύων ἐμπίμπλανταί μου οἱ ὀφθαλμοί: ὅταν τε φοβερὸν ἢ δεινόν, ὀρθαὶ αἱ τρίχες ἵστανται ὑπὸ φόβου καὶ ἡ καρδία πηδᾷ.
L’idea centrale dello Ione è che quella del rapsodo non è una tecnica, che in quanto tale può essere acquisita da tutti (533d-e):
ἔστι γὰρ τοῦτο τέχνη μὲν οὐκ ὂν παρὰ σοὶ περὶ Ὁμήρου εὖ λέγειν, ὃ νυνδὴ ἔλεγον, θεία δὲ δύναμις ἥ σε κινεῖ, ὥσπερ ἐν τῇ λίθῳ ἣν Εὐριπίδης μὲν Μαγνῆτιν ὠνόμασεν, οἱ δὲ πολλοὶ Ἡρακλείαν.
«infatti non è una tecnica questo che è in te, cioè dire bene intorno a Omero, ma una potenza divina ti muove, come nella pietra che Euripide ha chiamato Magnete, i più Eraclea».
καὶ γὰρ αὕτη ἡ λίθος οὐ μόνον αὐτοὺς τοὺς δακτυλίους ἄγει τοὺς σιδηροῦς, ἀλλὰ καὶ δύναμιν ἐντίθησι τοῖς δακτυλίοις ὥστ᾽ αὖ δύνασθαι ταὐτὸν τοῦτο ποιεῖν ὅπερ ἡ λίθος, ἄλλους ἄγειν δακτυλίους, ὥστ᾽ ἐνίοτε ὁρμαθὸς μακρὸς πάνυ σιδηρίων καὶ δακτυλίων ἐξ ἀλλήλων ἤρτηται: πᾶσι δὲ τούτοις ἐξ ἐκείνης τῆς λίθου ἡ δύναμις ἀνήρτηται.
«E infatti questa pietra non solo conduce gli anelli di ferro, ma infonde anche negli anelli una forza tale che a loro volta sono capaci di fare questa stessa cosa che appunto fa la pietra, cioè condurre altri anelli, sicché talvolta si lega una grandissima catena di anelli di ferro dipendenti gli uni dagli altri; e a tutti questi la forza dipende da quella pietra».
οὕτω δὲ καὶ ἡ Μοῦσα ἐνθέους μὲν ποιεῖ αὐτή, διὰ δὲ τῶν ἐνθέων τούτων ἄλλων ἐνθουσιαζόντων ὁρμαθὸς ἐξαρτᾶται. πάντες γὰρ οἵ τε τῶν ἐπῶν ποιηταὶ οἱ ἀγαθοὶ οὐκ ἐκ τέχνης ἀλλ᾽ ἔνθεοι ὄντες καὶ κατεχόμενοι πάντα ταῦτα τὰ καλὰ λέγουσι ποιήματα.
«Così anche questa Musa rende divinamente ispirati, e per mezzo di queste persone ispirate si connette una catena di altri invasati dalla divinità. Infatti tutti i poeti epici bravi non per tecnica ma essendo ispirati e posseduti recitano tutti questi bei poemi».
ἐστιν ὁ θεατὴς τῶν δακτυλίων ὁ ἔσχατος... ὁ δὲ μέσος σὺ ὁ ῥαψῳδὸς καὶ ὑποκριτής, ὁ δὲ πρῶτος αὐτὸς ὁ ποιητής.
«Lo spettatore è l'ultimo degli anelli... quello di mezzo sei tu, il rapsodo, e l'attore, mentre il primo lo stesso poeta» (535e-536a).
Ecco, quell’attore col cuore che martella, che imita le passione, non le vive, è Euripide: egli progetta socraticamente e attua come attore appassionato. Dunque il dramma euripideo è insieme triste e focoso e non può raggiungere l’effetto apollineo dell’epos, avendo d’altra parte perduto la natura dionisiaca: ora ha bisogno di nuovi mezzi di eccitamento.
Questi mezzi di eccitamento sono pensieri freddi e paradossali - in luogo delle intuizioni apollinee - e passioni roventi - in luogo delle estasi dionisiache - e più precisamente, pensieri e passioni imitati in modo estremamente realistico, nient'affatto immersi nell'etere del-l’arte.
Il concetto insomma è che il dramma si intellettualizza, come già aveva detto Aristofane (Rane, 956-58):
λεπτῶν τε κανόνων ἐσβολὰς ἐπῶν τε γωνιασμούς,
νοεῖν ὁρᾶν ξυνιέναι στρέφειν ἐρᾶν✝︎ τεχνάζειν,
κάχ᾽ ὑποτοπεῖσθαι, περινοεῖν ἅπαντα
(ho insegnato) l'introduzione di regole sottili e squadrature di versi, / a pensare vedere comprendere rivoltare […] escogitare, sospettare cattive intenzioni, considerare tutto da ogni punto di vista».
Riassumendo dunque, Euripide non riuscì a fondare il dramma sull’apollineo e deviò verso una tendenza naturalistica e non artistica.
Potremo ormai avvicinarci all’essenza del socratismo estetico, la cui legge suprema suona a un di presso: «Tutto deve essere razionale per essere bello», come proposizione parallela al principio socratico: «solo chi sa è virtuoso».
Il cosiddetto, da Nietzsche, socratismo può essere rintracciato nel Protagora di Platone (357d, 358d):
καὶ γὰρ ὑμεῖς ὡμολογήκατε ἐπιστήμης ἐνδείᾳ ἐξαμαρτάνειν περὶ τὴν τῶν ἡδονῶν αἵρεσιν καὶ λυπῶν τοὺς ἐξαμαρτάνοντας – ταῦτα δέ ἐστιν ἀγαθά τε καὶ κακά – […] ἐπί γε τὰ κακὰ οὐδεὶς ἑκὼν ἔρχεται οὐδὲ ἐπὶ ἃ οἴεται κακὰ εἶναι.
«anche voi infatti siete d'accordo che per mancanza di scienza sbagliano coloro che sbagliano riguardo alla scelta dei piaceri e dei dolori – questi sono i beni e i mali – […] nessuno va volontariamente verso i mali, nemmeno verso quelli che crede siano mali».
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