vv. 153-234
(parodo: riassunto)
La parodo è commatica, cioè presenta un canto alternato tra attori e coro, in questo caso tra Ecuba e i due semicori. Prima Ecuba si alterna con il semicoro I, poi col semicoro II; infine il due semicori si riuniscono nell’unico coro composto da donne troiane prigioniere e al termine il corifeo introduce il primo episodio.
Le donne troiane chiedono per quale motivo Ecuba si lamenti e lei risponde che gli Argivi stanno per salpare e questo significa che probabilmente le donne verranno portate via, dopo essere state sorteggiate tra i vincitori. Ecuba poi accenna alla figlia Cassandra, che si trova dentro una tenda, chiedendo di non farla uscire per non aggiungere dolore a dolore.
A questo punto il coro riunitosi si chiede dove dovrà andare e auspica di andare ad Atene almeno, ma di sicuro non a Sparta, τὰν κλεινὰν εἴθ’ ἔλθοιμεν / Θησέως εὐδαίμονα χώραν. / μὴ γὰρ δὴ δίναν γ’ Εὐρώτα, / τὰν ἐχθίσταν θεράπναν Ἑλένας, «magari potessimo andare alla gloriosa / e felice terra di Teseo. / Non certo infatti ai gorghi dell’Eurota, / odiosissima dimora di Elena» (vv. 206-211). Segue poi una sorta di classifica delle regioni auspicabili; da notare l’attenzione rivolta alla Magna Grecia, εὔανδρόν γᾶν, «una terra di uomini forti» (v. 228).
La celebrazione di Atene e l’esecrazione di Sparta è un elemento topico delle tragedie nel periodo caratterizzato dalla guerra del Pelopponeso. Atene invece come oggetto del mito di stato è una costante di tutta la tragedia. Il riferimento alla Sicilia e alla magna Grecia è forse da interpretare come un avvertimento agli Ateniesi che stanno preparando la spedizione in Sicilia (415-413).
Infine viene annunciato l’arrivo di Taltibio, l’araldo degli Danai già nei poemi Omerici.
vv. 235-352
(primo episodio: riassunto)
Si presenta Taltibio comunicando che il sorteggio è stato effettuato e che bisogna portare fuori Cassandra, scelta senza sorteggio, come concubina, da Agamennone. Ecuba si dispera e chiede informazioni su Polissena, l’altra figlia; Taltibio risponde, evasivamente, che le hanno ordinato di servire il sepolcro di Achille, lasciando intendere che è viva; poi Ecuba chiede notizie su Andromaca, scelta anch’ella senza sorteggio da Neottolemo, e su se stessa, capitata a Odisseo, presentato come il peggiore degli uomini, μυσαρῷ δολίῳ λέλογχα φωτὶ δουλεύειν, / πολεμίῳ δίκας, παρανόμῳ δάκει, / ὃς πάντα τἀκεῖθεν ἐνθάδ<ε στρέφει, τὰ δ’> / ἀντίπαλ’ αὖθις ἐκεῖσε διπτύχῳ γλώσσᾳ / φίλα τὰ πρότερ’ ἄφιλα τιθέμενος πάντων, «Ho avuto in sorte di essere schiava di un uomo nefando e fraudolento, / nemico di giustizia, una belva senza legge, / che tutto ciò che viene da là lo stravolge qua, / e al contrario di nuovo là con lingua biforcuta / rendendo senza amore le cose di prima amate da tutti». Si può vedere in questa caratterizzazione di Ulisse, l’eroe mitologico prediletto dai sofisti, un atteggiamento critico proprio nei confronti di quei pensatori a cui Euripide è stato spesso avvicinato per il suo presunto razionalismo13.
Taltibio quindi insiste per far portare fuori Cassandra, la quale in effetti esce in preda al delirio e proclamandosi fortunata per le nozze che sta per celebrare14. Quindi prosegue con i versi che seguono dai quali emerge che «c’è del metodo nella follia»15 di Cassandra. Magari pensando a personaggi come Cassandra, Aristotele (Poetica 1453b) rileva che fondamentale per il carattere dei personaggi è la coerenza, la quale può non appartenere al personaggio in sé, cioè si può rappresentare un personaggio dal carattere incoerente però ὅμως ὁμαλῶς ἀνώμαλον δεῖ εἶναι, «deve comunque essere coerentemente incoerente».
13 Si può pensare ad Aristofane (Nuvole e Rane) e a Nietzsche (La nascita della tragedia).
14 Cassandra allude ironicamente alla sua condizione di concubina di Agamennone, in quanto profetessa sa che il suo aguzzino farà una brutta fine, una volta tornato in patria.
15 Shakespeare, Amleto, atto II, scena 2, vv. 204-205: Though this be madness, yet there is method / in ’t, «sarà follia, ma c’è pure del metodo in essa».
ΚΑΣΑΝΔΡΑ
μῆτερ, πύκαζε κρᾶτ’ ἐμὸν νικηφόρον,
καὶ χαῖρε τοῖς ἐμοῖσι βασιλικοῖς γάμοις·
Madre, cingi il mio capo vittorioso,e gioisci delle mie regali nozze;
καὶ πέμπε, κἂν μὴ τἀμά σοι πρόθυμά γ’ ᾖ, 355
ὤθει βιαίως· εἰ γὰρ ἔστι Λοξίας,
Ἑλένης γαμεῖ με δυσχερέστερον γάμον
ὁ τῶν Ἀχαιῶν κλεινὸς Ἀγαμέμνων ἄναξ.
e accompagnami, e se per te le mie azioni non sono animateda buona volontà,spingimi a forza; se infatti il Lossia c’è,celebrerà in me nozze più spiacevoli di quelle di Elena,l’inclito sire degli Achei, Agamennone.
κτενῶ γὰρ αὐτόν, κἀντιπορθήσω δόμους
ποινὰς ἀδελφῶν καὶ πατρὸς λαβοῦσ’ ἐμοῦ. 360
Lo ammazzerò infatti, e a mia volta devasterò la sua casaprendendo vendette dei fratelli e di mio padre.
ἀλλ’ ἄττ’ ἐάσω· πέλεκυν οὐχ ὑμνήσομεν,
ὃς ἐς τράχηλον τὸν ἐμὸν εἶσι χἁτέρων·
μητροκτόνους τ’ ἀγῶνας, οὓς οὑμοὶ γάμοι
θήσουσιν, οἴκων τ’ Ἀτρέως ἀνάστασιν.
Ma lascerò stare certi particolari: non inneggeremo alla scureche giungerà sul collo mio e di altri;contese matricide, che le mie nozzedetermineranno, e la rovina della casa di Atreo.
πόλιν δὲ δείξω τήνδε μακαριωτέραν 365
ἢ τοὺς Ἀχαιούς, ἔνθεος μέν, ἀλλ’ ὅμως
τοσόνδε γ’ ἔξω στήσομαι βακχευμάτων·
Dimostrerò che questa città è più felicedegli Achei, posseduta dal dio, certo, ma comunquealmeno per il tempo necessario resterò fuori dai deliri;
οἳ διὰ μίαν γυναῖκα καὶ μίαν Κύπριν,
θηρῶντες Ἑλένην, μυρίους ἀπώλεσαν.
ed essi per una sola donna e una sola Cipride,dando la caccia a Elena uccisero uomini a migliaia.
ὁ δὲ στρατηγὸς ὁ σοφὸς ἐχθίστων ὕπερ 370
τὰ φίλτατ’ ὤλεσ’, ἡδονὰς τὰς οἴκοθεν
τέκνων ἀδελφῷ δοὺς γυναικὸς οὕνεκα,
καὶ ταῦθ’ ἑκούσης κοὐ βίᾳ λελῃσμένης.
E il generale, il sapiente, per le ragioni più odiosedistrusse gli affetti più cari, dando via per il fratellole gioie, quelle di casa, dei figli, per una donna,e questo per una che voleva e non rapita con la violenza1.
ἐπεὶ δ’ ἐπ’ ἀκτὰς ἤλυθον Σκαμανδρίους,
ἔθνῃσκον, οὐ γῆς ὅρι’ ἀποστερούμενοι 375
οὐδ’ ὑψίπυργον πατρίδ’· οὓς δ’ Ἄρης ἕλοι,
οὐ παῖδας εἶδον, οὐ δάμαρτος ἐν χεροῖν
πέπλοις συνεστάλησαν, ἐν ξένῃ δὲ γῇ
κεῖνται. τὰ δ’ οἴκοι τοῖσδ’ ὅμοι’ ἐγίγνετο·
ma dopo che giunsero alle rive dello Scamandro,morivano, non perché privati della terra nei confininé della patria dalle alte torri; ma quelli che Ares prendeva,non i figli videro, non nelle mani della sposafurono avvolti in pepli, ma in terra stranieragiacciono. La situazione a casa era simile a questa:
χῆραί τ’ ἔθνῃσκον, οἳ δ’ ἄπαιδες ἐν δόμοις 380
ἄλλοις τέκν’ ἐκθρέψαντες· οὐδὲ πρὸς τάφοις
ἔσθ’ ὅστις αὐτῶν αἷμα γῇ δωρήσεται.
ἦ τοῦδ’ ἐπαίνου τὸ στράτευμ’ ἐπάξιον.
vedove morivano le donne, e senza figli gli uomini nelle caseper altri avendo cresciuto i bambini; e non c’è chisui loro sepolcri donerà il sangue alla terra.Davvero un spedizione proprio degna di questo elogio!2
1 Questo è un attacco illuministico all’idea che le azioni umane siano determinate da fattori esterni, quali gli interventi delle divinità.
2 Tutto il passo sembra alludere alle possibili conseguenze della spedizione in Sicilia.
Tra l’altro, a quanto ci riferisce Plutarco (Vita di Nicia, 29, 2-5), alcuni Ateniesi dovettero la propria salvezza alla conoscenza delle tragedie di Euripide: ἐβοήθει δὲ τούτοις ἥ τ' αἰδὼς καὶ τὸ κόσμιον· ἢ γὰρ ἠλευθεροῦντο ταχέως, ἢ τιμώμενοι παρέμενον τοῖς κεκτημένοις. ἔνιοι δὲ καὶ δι' [3] Εὐριπίδην ἐσώθησαν. […] τότε γοῦν φασι τῶν σωθέντων οἴκαδε συχνοὺς ἀσπάζεσθαί τε τὸν Εὐριπίδην φιλοφρόνως, καὶ διηγεῖσθαι τοὺς μὲν ὅτι δουλεύοντες ἀφείθησαν, ἐκδιδάξαντες ὅσα τῶν ἐκείνου ποιημάτων ἐμέμνηντο, τοὺς δ' ὅτι πλανώμενοι μετὰ τὴν μάχην τροφῆς καὶ ὕδατος μετελάμβανον [5] τῶν μελῶν ᾄσαντες. «Li soccorreva il pudore e l’educazione: infatti o furono liberati presto, o rimasero presso i padroni, tenuti in grande onore. Alcuni poi si salvarono anche grazie a Euripide. […] In quella circostanza dinque, dicono che parecchi tra coloro che si salvarono tornando a casa abbracciassero Euripide affettuosamente, e raccontassero alcuni che da schiavi che erano furono lasciati andare, dopo aver insegnato quanto ricordarono dei suoi componimenti, altri che vagando dopo la battaglia otenevano in cambio cibo e acqua dopo aver cantato i suoi versi». Siamo nel 413 a.C.; tutti gli altri sopravvissuti furono rinchiusi nelle Latomie di Siracusa, cave di pietra adiacenti al teatro, ancora oggi visitabili.
σιγᾶν ἄμεινον τᾀσχρά, μηδὲ μοῦσά μοι
γένοιτ’ ἀοιδὸς ἥτις ὑμνήσει κακά. 385
Meglio tacere le cose turpi, e che la musa non mi
diventi una cantatrice che celebrerà dei mali.Τρῶες δὲ πρῶτον μέν, τὸ κάλλιστον κλέος,
ὑπὲρ πάτρας ἔθνῃσκον· οὓς δ’ ἕλοι δόρυ,
νεκροί γ’ ἐς οἴκους φερόμενοι φίλων ὕπο
ἐν γῇ πατρῴᾳ περιβολὰς εἶχον χθονός,
χερσὶν περισταλέντες ὧν ἐχρῆν ὕπο· 390
I Troiani invece per prima cosa, ed è la gloria più bella,
morivano per la patria; quelli che prendeva la lancia,
portati almeno da morti nelle case dai cari
avevano nel suolo patrio gli abbracci della terra,
composti dalle mani di chi doveva;
ὅσοι δὲ μὴ θάνοιεν ἐν μάχῃ Φρυγῶν,
ἀεὶ κατ’ ἦμαρ σὺν δάμαρτι καὶ τέκνοις
ᾤκουν, Ἀχαιοῖς ὧν ἀπῆσαν ἡδοναί.
quanti poi non morivano in battaglia tra i Frigi,
sempre giorno dopo giornoabitavano con la sposa
e i figli, il cui piacere era lontano dagli Achei.
τὰ δ’ Ἕκτορός σοι λύπρ’ ἄκουσον ὡς ἔχει·
δόξας ἀνὴρ ἄριστος οἴχεται θανών, 395
καὶ τοῦτ’ Ἀχαιῶν ἵξις ἐξεργάζεται·
Invece la sorte di Ettore, per te penosa, ascolta com’è:
se ne è andato morto con la reputazione di uomo ottimo,
e questo la venuta degli Achei lo procurato;
εἰ δ’ ἦσαν οἴκοι, χρηστὸς ὢν ἐλάνθανεν.
Πάρις δ’ ἔγημε τὴν Διός· γήμας δὲ μή,
σιγώμενον τὸ κῆδος εἶχεν ἐν δόμοις.
se invece fossero rimasti in paria, sarebbe sfuggito che era uomo di valore.
Paride poi sposò la figlia di Zeus; se non l’avesse sposata,
avrebbe avuto in casa un parentado oscuro.
φεύγειν μὲν οὖν χρὴ πόλεμον ὅστις εὖ φρονεῖ·
εἰ δ’ ἐς τόδ’ ἔλθοι, στέφανος οὐκ αἰσχρὸς πόλει
καλῶς ὀλέσθαι, μὴ καλῶς δὲ δυσκλεές.
Dunque deve fuggire la guerra, chiunque abbia senno;
se però si è arrivati a questo, è una corona non ignobile per una città
perire nella bellezza, senza bellezza invece è infamante18.
ὧν οὕνεκ’ οὐ χρή, μῆτερ, οἰκτίρειν σε γῆν,
οὐ τἀμὰ λέκτρα· τοὺς γὰρ ἐχθίστους ἐμοὶ
καὶ σοὶ γάμοισι τοῖς ἐμοῖς διαφθερῶ. 405
Per queste ragioni, madre, non devi compiangere questa terra,
non i miei letti; coloro che sono odiosissimi a me
e a te distruggerò con le mie nozze.
18 Analoghe affermazioni si trovano in Sofocle, Aiace, 479-80: ἀλλ' ἢ καλῶς ζῆν , ἢ καλῶς τεθνηκέναι / τὸν εὐγενῆ χρῆ, «ma è necessario che il nobile / o nella bellezza viva o nella bellezza muoia»; poi anche in Euripide, Ecuba, 378: τὸ γὰρ ζῆν μὴ καλῶς μέγας πόνος, «vivere senza bellezza è una grande pena». Vedi anche il concetto di “giustificazione estetica dell’esistenza”.
Χο.
ὡς ἡδέως κακοῖσιν οἰκείοις γελᾷς,
μέλπεις θ’ ἃ μέλπουσ’ οὐ σαφῆ δείξεις ἴσως.
Come ridi piacevolmente dei mali domestici,
e canti cose che, cantando, mostrerai forse non chiare.
Ταλτιβίος.
εἰ μή σ’ Ἀπόλλων ἐξεβάκχευεν φρένας,
οὔ τἂν ἀμισθὶ τοὺς ἐμοὺς στρατηλάτας
τοιαῖσδε φήμαις ἐξέπεμπες ἂν χθονός. 410
Se Apollo non ti agitasse di furore bacchico la mente,
tu di certo non accompagneresti fuori da questa terra i miei
condottieri impunemente con tali presagi.
ἀτὰρ τὰ σεμνὰ καὶ δοκήμασιν σοφὰ
οὐδέν τι κρείσσω τῶν τὸ μηδὲν ἦν ἄρα.
non sono superiori in nulla a ciò che non era proprio niente.
ὁ γὰρ μέγιστος τῶν Πανελλήνων ἄναξ,
Ἀτρέως φίλος παῖς, τῆσδ’ ἔρωτ’ ἐξαίρετον
μαινάδος ὑπέστη· καὶ πένης μέν εἰμ’ ἐγώ, 415
ἀτὰρ λέχος γε τῆσδ’ ἂν οὐκ ἐκτησάμην.
Infatti il più grande signore di tutti gli Elleni,il caro figlio di Atreo, si sottomise all’amore scelto
di questa invasata; anche io sono povero, è vero,
però almeno il letto di costei non l’avrei acquistato.
καὶ σοὶ μέν—οὐ γὰρ ἀρτίας ἔχεις φρένας—
Ἀργεῖ’ ὀνείδη καὶ Φρυγῶν ἐπαινέσεις
ἀνέμοις φέρεσθαι παραδίδωμ’· ἕπου δέ μοι
πρὸς ναῦς, καλὸν νύμφευμα τῷ στρατηλάτῃ. 420
Quanto a te – infatti non hai la mente a posto –le offese agli Argivi e gli elogi dei Frigi
li consegno ai venti affinché se li portino via; seguimi
alle navi, bella sposina per il condottiero.
σὺ δ’, ἡνίκ’ ἄν σε Λαρτίου χρῄζῃ τόκος
ἄγειν, ἕπεσθαι· σώφρονος δ’ ἔσῃ λάτρις
γυναικός, ὥς φασ’ οἱ μολόντες Ἴλιον.
Tu19, invece, quando la prole di Laerte vorràcondurti via, seguilo; sarai serva di una donna
equilibrata, a quanto dicono quelli che sono venuti a Ilio.
Κα.
ἦ δεινὸς ὁ λάτρις. τί ποτ’ ἔχουσι τοὔνομα
κήρυκες, ἓν ἀπέχθημα πάγκοινον βροτοῖς, 425
οἱ περὶ τυράννους καὶ πόλεις ὑπηρέται;
CA.Davvero tremendo il servo! Perché mai hanno il nome
di "araldi", unico odio comune a tutti i mortali, 425
questi servitori al seguito di tiranni e città?20
σὺ τὴν ἐμὴν φῂς μητέρ’ εἰς Ὀδυσσέως
ἥξειν μέλαθρα; ποῦ δ’ Ἀπόλλωνος λόγοι,
οἵ φασιν αὐτὴν εἰς ἔμ’ ἡρμηνευμένοι
αὐτοῦ θανεῖσθαι; . . . τἄλλα δ’ οὐκ ὀνειδιῶ. 430
di Ulisse? Dove sono le parole di Apollo,
le quali a me rivelate dicono che ella
sarebbe morta qui? … non rinfaccerò le altre cose.
δύστηνος, οὐκ οἶδ’ οἷά νιν μένει παθεῖν·
ὡς χρυσὸς αὐτῷ τἀμὰ καὶ Φρυγῶν κακὰ
δόξει ποτ’ εἶναι. δέκα γὰρ ἐκπλήσας ἔτη
πρὸς τοῖσιν ἐνθάδ’, ἵξεται μόνος πάτραν
Sciagurato, non sa quali sofferenze gli rimangono da patire;come oro i mali miei e dei Frigi gli
sembreranno un giorno. Infatti dopo aver navigato per dieci anni
oltre a quelli passati qui, raggiungerà da solo la patria
. . . . . . . . . . .
οὗ δὴ στενὸν δίαυλον ᾤκισται πέτρας 435
δεινὴ Χάρυβδις, ὠμοβρώς τ’ ὀρειβάτης
Κύκλωψ, Λιγυστίς θ’ ἡ συῶν μορφώτρια
Κίρκη, θαλάσσης θ’ ἁλμυρᾶς ναυάγια,
λωτοῦ τ’ ἔρωτες, Ἡλίου θ’ ἁγναὶ βόες,
αἳ σάρκα φωνήεσσαν ἥσουσίν ποτε, 440
πικρὰν Ὀδυσσεῖ γῆρυν. ὡς δὲ συντέμω,
ζῶν εἶσ’ ἐς Ἅιδου κἀκφυγὼν λίμνης ὕδωρ
κάκ’ ἐν δόμοισι μυρί’ εὑρήσει μολών.
Dove la tremenda Cariddi abita lo stretto dalla doppia correntedella roccia, e il crudivoro montano
Ciclope, e la Ligure Circe che trasforma
in maiali, e i naufragi del salso mare,
e le passioni del loto, le sacre vacche del Sole,
che manderanno un giorno carne parlante,
voce amara per Ulisse. Per farla breve,
vivente andrà nell’Ade e sfuggito all’acque della palude
anche in patria di ritorno troverà sciagure a migliaia.
ἀλλὰ γὰρ τί τοὺς Ὀδυσσέως ἐξακοντίζω πόνους;
στεῖχ’ ὅπως τάχιστ’· ἐς Ἅιδου νυμφίῳ γημώμεθα. 445
ἦ κακὸς κακῶς ταφήσῃ νυκτός, οὐκ ἐν ἡμέρᾳ.
Ma dunque perché prendo di mira le pene di Ulisse?Avviati al più presto; maritiamoci con lo sposino nell’Ade.
Davvero turpe turpemente darai sepolto di notte, non di giorno.
ὦ δοκῶν σεμνόν τι πράσσειν, Δαναϊδῶν ἀρχηγέτα.
κἀμέ τοι νεκρὸν φάραγγες γυμνάδ’ ἐκβεβλημένην
ὕδατι χειμάρρῳ ῥέουσαι, νυμφίου πέλας τάφου,
θηρσὶ δώσουσιν δάσασθαι, τὴν Ἀπόλλωνος λάτριν. 450
Oh tu che ti credi di compiere qualcosa di mirabile, principe dei Danai.E me, gettata via come nudo cadavere, le gole
in cui scorre acqua in piena, presso il sepolcro dello sposo,
daranno da sbranare alle fiere, me la servitrice di Apollo.
19 Qui si rivolge a Ecuba, mentre prima stava parlando a Cassandra.
20 Spesso nelle tragedie i messaggeri e gli araldi sono personaggi spregevoli, in quanto amplificano acriticamente la voce dei potenti come in Oreste, 895-897: τὸ γὰρ γένος τοιοῦτον· ἐπὶ τὸν εὐτυχῆ / πηδῶσ’ ἀεὶ κήρυκες· ὅδε δ’ αὐτοῖς φίλος, / ὃς ἂν δύνηται πόλεος ἔν τ’ ἀρχαῖσιν ᾖ, «giacché è una razza fatta così: dalla parte di chi ha successo / saltano sempre gli araldi; caro a loro è questo, / che abbia il potere della città e sia al comando». Anche in questa tragedia il bersaglio è Taltibio.
vv. 451-510
(fine primo episodio: riassunto)
Quindi Cassandra si congeda dalla madre e rivolgendosi a Taltibio lo apostrofa dicendogli: ὡς μίαν τριῶν Ἐρινὺν τῆσδέ μ’ ἐξάξων χθονός, «poiché stai per portare via me, da questa terra, una delle tre Erinni».
Ecuba affranta esprime il suo dolore e invoca con scetticismo gli dèi vv. 469-471: ὦ θεοί . . . κακοὺς μὲν ἀνακαλῶ τοὺς συμμάχους, / ὅμως δ’ ἔχει τι σχῆμα κικλήσκειν θεούς, / ὅταν τις ἡμῶν δυστυχῆ λάβῃ τύχην, «oh dèi … come cattivi alleati vi invoco, è vero, / tuttavia ha una certa dignità invocare gli dèi, / quando uno di noi colga una sorte avversa».
Poi lamenta la sua misera condizione da grande regina che era, madre di tanti figli, nessuno dei quali è sopravvissuto e prefigura le umiliazioni a cui sarà sottoposta; quindi si conclude il primo episodio con una considerazione:
vv. 509-510: τῶν δ’ εὐδαιμόνων / μηδένα νομίζετ’ εὐτυχεῖν, πρὶν ἂν θάνῃ, «tra coloro che sono felici / non pensate che nessuno sia fortunato, prima che sia morto».
Chi è l’uomo più felice
Il τόπος, come sappiamo, risale, nella sua formulazione più famosa, a Erodoto, Storie, I, 32: Solone, ospite di Creso, viene interrogato su chi sia l’uomo più felice; l’Ateniese prima nomina Tello ateniese, poi Cleobi e Bitone, tutte persone qualsiasi, ma che hanno in comune di averer concluso la vita bene. Creso allora si indispettisce, ma Solone gli spiega che «l’uomo è completamente in balia degli eventi (πᾶν ἐστι ἄνθρωπος συμφορή). Poi Solone fa il conto dei giorni di una vita presupposta di settanta anni, comprendente 26250 giorni, ciascuno dei quali è diverso, e aggiunge:
Ἐμοὶ δὲ σὺ καὶ πλουτέειν μέγα φαίνεαι καὶ βασιλεὺς πολλῶν εἶναι ἀνθρώπων· ἐκεῖνο δὲ τὸ εἴρεό με οὔ κώ σε ἐγὼ λέγω, πρὶν τελευτήσαντα καλῶς τὸν αἰῶνα πύθωμαι.
«Tu mi sembri essere molto ricco e regnare su molti uomini; ma quello che mi chiedevi non te lo dico ancora, prima di aver saputo che hai compiuto bene la vita».
Dopo avere fatto una distinzione tra ricchezza e fortuna e felicità, ribadisce:
πρὶν δ' ἂν τελευτήσῃ, ἐπισχεῖν μηδὲ καλέειν κω ὄλβιον, ἀλλ' εὐτυχέα […] Σκοπέειν δὲ χρὴ παντὸς χρήματος τὴν τελευτὴν κῇ ἀποβήσεται· πολλοῖσι γὰρ δὴ [33] ὑποδέξας ὄλβον ὁ θεὸς προρρίζους ἀνέτρεψε.
«Però prima che sia morto, tratteniamoci e non chiamiamo uno felice, ma fortunato […] Di ogni casa bisogna guardare la conclusione, come andrà a finire: infatti la divinità, dopo aver fatto intravedere a molti la felicità, li ha stroncati capovolgendoli».
Ne abbiamo però una formulazione già in Omero, Odissea, XVIII, 130-37:
οὐδὲν ἀκιδνότερον γαῖα τρέφει ἀνθρώποιο, / πάντων ὅσσα τε γαῖαν ἔπι πνείει τε καὶ ἕρπει. / οὐ μὲν γάρ ποτέ φησι κακὸν πείσεσθαι ὀπίσσω, / ὄφρ᾽ ἀρετὴν παρέχωσι θεοὶ καὶ γούνατ᾽ ὀρώρῃ: / ἀλλ᾽ ὅτε δὴ καὶ λυγρὰ θεοὶ μάκαρες τελέσωσι, / καὶ τὰ φέρει ἀεκαζόμενος τετληότι θυμῷ: / τοῖος γὰρ νόος ἐστὶν ἐπιχθονίων ἀνθρώπων / οἷον ἐπ᾽ ἦμαρ ἄγησι πατὴρ ἀνδρῶν τε θεῶν τε.
«Nulla la terra nutre più meschino dell’uomo, / di tutte le creature quante respirano e strisciano sulla terra. / Infatti non dice mai che in futuro subirà un male, / finché gli dèi gli offrono coraggio e le ginocchia spingano: / ma quando gli dèi beati compiano anche lutti, / anche questi sopporta, suo malgrado, con animo paziente: / tale infatti è la mente degli uomini sopra la terra / quale la indirizza di giorno in giorno il padre degli uomini e degli dèi». Il contesto è quello della lotta di Odisseo con Iro, che lo aveva umiliato nella reggia di Itaca. Ancora travestito da vecchio mendicante Odisseo gli dà una lezione e all’augurio di Anfinomo, uno dei proci, di essere in futuro felice, risponde con le parole riportate sopra.
Altre espressioni simili sono presenti nella tragedia; per esempio Sofocle, amico di Erodoto, con cui aveva molto in comune anche nel pensiero, si esprime in modo molto affine allo storiografo di Alicarnasso nella conclusione dell’Edipo re, vv. 1528-1530:
ὥστε θνητὸν ὄντ' ἐκείνην τὴν τελευταίαν ἰδεῖν / ἡμέραν ἐπισκοποῦντα μηδέν' ὀλβίζειν, πρὶν ἂν / τέρμα τοῦ βίου περάσῃ μηδὲν ἀλγεινὸν παθών,
«sicché nessuno che sia un mortale, guardando a quell’ultimo giorno / a vedersi bisogna ritenere felice, prima che / abbia varcato il confine della vita senza aver subito nessun dolore».
In Euripide il medesimo concetto è espresso prima nell’Andromaca, 100-102:
χρὴ δ' οὔποτ' εἰπεῖν οὐδέν' ὄλβιον βροτῶν, / πρὶν ἂν θανόντος τὴν τελευταίαν ἴδηις / ὅπως περάσας ἡμέραν ἥξει κάτω,
«non bisogna mai dire felice nessuno dei mortali, / prima di aver visto come / dopo aver varcato l’ultimo giorno sarà giunto sotto terra»;
poi nell’Ecuba, 627-28:
κεῖνος ὀλβιώτατος, / ὅτῳ κατ’ ἦμαρ τυγχάνει μηδὲν κακόν, «felicissimo quello a cui non capiti nessun male giorno per giorno».
Notiamo come il tema sia presente così in quella che possiamo considerare una trilogia sulla guerra (Andromaca, Ecuba, Troiane).
Inoltre ben cinque tragedie di Euripide (Alcesti, Medea21, Andromaca, Elena, Baccanti) si concludono con questi versi:
πολλαὶ μορφαὶ τῶν δαιμονίων, / πολλὰ δ' ἀέλπτως κραίνουσι θεοί· / καὶ τὰ δοκηθέντ' οὐκ ἐτελέσθη, / τῶν δ' ἀδοκήτων πόρον ηὗρε θεός. / τοιόνδ’ ἀπέβη τόδε πρᾶγμα,
«molte sono le forme delle divinità, / molte cose in modo inatteso compiono gli dèi; / e le cose aspettate non si sono compiute, / mentre di quelle inaspettate un dio ha trovato la via. / Così è andata a finire questa azione».
Il concetto si trova espresso anche da Platone nel suo ultimo dialogo, Leggi, VII, 802a:
Τούς γε μὴν ἔτι ζῶντας ἐγκωμίοις τε καὶ ὕμνοις τιμᾶν οὐκ ἀσφαλές, πρὶν ἂν ἅπαντά τις τὸν βίον διαδραμὼν τέλος ἐπιστήσηται καλόν,
«onorare quelli che sono ancora in vita con encomi e inni non è cosa sicura, prima che uno dopo aver percorso tutta quanta la vita vi abbia posto una bella fine».
21 In questa tragedia cambia il primo dei versi citati: πολλῶν ταμίας Ζεὺς ἐν Ὀλύμπῳ, «di molti casi è dispensatore Zeus nell’Olimpo»; gli altri sono identici.
p.s.
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