ἰδεῖν μὲν γὰρ ψυχὴν ἔφη τήν ποτε Ὀρφέως γενομένην κύκνου βίον αἱρουμένην, μίσει τοῦ γυναικείου γένους διὰ τὸν ὑπ' ἐκείνων θάνατον οὐκ ἐθέλουσαν ἐν γυναικὶ γεννηθεῖσαν γενέσθαι· ἰδεῖν δὲ τὴν Θαμύρου ἀηδόνος ἑλομένην· ἰδεῖν δὲ καὶ κύκνον μεταβάλλοντα εἰς ἀνθρωπίνου βίου αἵρεσιν, καὶ ἄλλα ζῷα μουσικὰ ὡσαύτως.
«Disse, infatti, di aver visto l’anima che un tempo era stata di Orfeo scegliere una vita di cigno, per odio del genere femminile dovuto alla morte per mano di quelle non volendo nascere generata in una donna; vide quella di Tamiri scegliere una vita di usignolo; vide anche un cigno fare la scelta cambiando in una vita umana, e altri animali musici allo stesso modo».
[b] εἰκοστὴν δὲ λαχοῦσαν ψυχὴν ἑλέσθαι λέοντος βίον· εἶναι δὲ τὴν Αἴαντος τοῦ Τελαμωνίου, φεύγουσαν ἄνθρωπον γενέσθαι, μεμνημένην τῆς τῶν ὅπλων κρίσεως. τὴν δ' ἐπὶ τούτῳ Ἀγαμέμνονος· ἔχθρᾳ δὲ καὶ ταύτην τοῦ ἀνθρωπίνου γένους διὰ τὰ πάθη ἀετοῦ διαλλάξαι βίον. ἐν μέσοις δὲ λαχοῦσαν τὴν Ἀταλάντης ψυχήν, κατιδοῦσαν μεγάλας τιμὰς ἀθλητοῦ ἀνδρός, οὐ δύνασθαι παρελθεῖν, ἀλλὰ λαβεῖν.
«C’era poi quella di Aiace Telamonio, che fuggiva dall’essere uomo, ricordandosi del giudizio delle armi; quella dopo questa era di Agamennone: anch’essa per odio della stirpe umana a causa delle sofferenze, fece a cambio con una vita di aquila. Sorteggiata tra quelli a metà l’anima di Atalanta, scorgendo i grandi onori di un atleta, non poté andare oltre ma li prese».
Aiace è un personaggio dell’Ade anche in Odissea, XI, vv. 542-564.
Ulisse ha evocato i morti per consultare Tiresia e incontra una serie di anime tra cui quella di sua madre e quella di Achille. Però ce n'è una che sta in disparte (543-544):
οἴη δ᾽ Αἴαντος ψυχὴ Τελαμωνιάδαο
νόσφιν ἀφεστήκει, κεχολωμένη εἵνεκα νίκης
«solo l'anima di Aiace Telamonio, restava in disparte, in collera per la vittoria»
Il motivo è che Ulisse era riuscito a sottrargli con l'inganno le armi di Achille, che dovevano andare in premio al più valoroso dopo Achille. In effetti poi Aiace si suicida perché, come dice nell'omonima tragedia di Sofocle ai vv. 479-80:
ἀλλ' ἢ καλῶς ζῆν ἢ καλῶς τεθνηκέναι
τὸν εὐγενῆ χρή. Πάντ' ἀκήκοας λόγον.
«Ma è necessario che il nobile o viva nella bellezza / o nella bellezza muoia. Hai ascoltato tutto il discorso».
Allora il figlio di Laerte racconta ad Alcinoo che (552):
τὸν μὲν ἐγὼν ἐπέεσσι προσηύδων μειλιχίοισιν
«con parole di miele io mi rivolsi a lui».
Ma (563-564):
ὣς ἐφάμην, ὁ δέ μ᾽ οὐδὲν ἀμείβετο, βῆ δὲ μετ᾽ ἄλλας
ψυχὰς εἰς Ἔρεβος νεκύων κατατεθνηώτων
«Come dissi, quello niente rispose, ma se ne andò nell'Erebo con le altre anime dei cadaveri dei morti».
L’episodio è ripreso da Virgilio nel VI canto dell’Eneide quando la incontra agli inferi e le dice: invitus, regina, tuo de litore cessi, «senza volerlo regina mi sono allontanato dalla tua spiaggia» (v. 460). Quindi Enea cerca di interloquire in qualche modo ma Didone illa solo fixos ocuols aversa tenebat, «ella teneva gli occhi fissi al suolo, girata dall'altra parte».
L’autore del trattato Sul sublime, al capitolo 9, commenta il passo omerico. Viene definito il concetto di «sublime» in arte, che è connesso alla prima fonte, la più importante, qui chiamata τὸ μεγαλοφυές, «grandezza d’animo/magnanimità»: ebbene il sublime si configura come μεγαλοφροσύνης ἀπήχημα, «eco di un alto sentire». Perciò, continua, «il nudo pensiero, separato dalla voce, in qualche modo è ammirato di per sé, perché è in sé alto sentire ὡς ἡ τοῦ Αἴαντος ἐν Νέκυια σιωπὴ μέγα καὶ παντός ὑψηλότερον λόγου, «come il silenzio di Aiace nella Νέκυια, grande e più sublime di qualsiasi discorso».
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