Imperialismo moderato o rinunciatario
Germania, 33
Maneat, quaeso, duretque gentibus, si non amor nostri, at certe odium sui, quando urgentibus imperii fatis nihil iam praestare fortuna maius potest quam hostium discordiam.
«Rimanga, io prego, e perduri tra le genti, se non l’amore verso di noi, quanto meno l’odio tra di loro, dal momento che incalzando le sorti dell’impero niente ormai la fortuna può fornire di più grande che la discordia dei nemici».
Imperialismo velleitario
Annales , II, 26
Si sta parlando di Tiberio che dopo aver inviato Germanico contro i Germani lo richiama dopo le prime vittorie dicendo che Posse et Cheruscos ceterasque rebellium gentis, quoniam Romanae ultioni consultum esset, internis discordiis relinqui, «si potevano lasciare alle loro discordie interne i Cherusci e gli altri popoli ribelli, poiché si era provveduto alla vendetta di Roma», ma lo storico attribuisce tendenziosamente tale strategia all’invidia di Tiberio: Haud cunctatus est ultra Germanicus, quamquam fingi ea, seque per invidiam parto iam decŏri abstrahi intellegeret, «Germanico non indugiò oltre, sebbene capisse che quegli argomenti erano falsi, e che per invidia veniva strappato alla gloria già raggiunta». Tacito lascia intendere che se Tiberio non avesse richiamato Germanico, questi avrebbe potuto conquistare la libera Germania ricoprendosi di gloria. Quello che è cambiato tra la Germania e gli Annales è il contesto storico: nel primo caso siamo subito dopo la morte di Domiziano, per cui Tacito dice (Germania, 37) proximis temporibus triumphati magis quam victi sunt, «Nei tempi recenti [i Germani] sono stati oggetto di trionfo più che di vittoria», manifestando sfiducia nelle possibilità di vittoria; nel secondo caso siamo sotto il principato di Traiano che aveva ripreso energicamente la politica espansionistica facendo raggiungere all’impero la sua massima estensione.
Sentiamo come commenta questi passi Santo Mazzarino, Il pensiero storico classico, II, 6, 13 (pagg. 460-462):
Nella Germania (scritta nel 98 d.C.), Tacito è convinto che i Germani sono nemici assai più duri di qualunque altro: persino i Parti, gloriosamente vinti da Ventidio, ma già vincitori di Crasso, sono nemici meno temibili (quippe regno Arsacis acrior est Germanorum libertas, c. 37) […] Nel c. 33 leggiamo (a proposito delle lotte di Chamavi e Angrivarti contro i Bructeri) un passo celebre, e discusso, che può forse sconcertare il lettore moderno: maneat, quaeso, duretque gentibus, si non amor nostri, at certe odium sui, quando urgentibus imperii fatis nihil iam praestare fortuna maius potest quam hostium discordiam. Dunque, secondo Tacito, solo la discordia fra i Germani può esser data dalla fortuna ai Romani, «urgendo i fati dell'impero». Tacito ha forse la certezza che Roma, «urgendo i fati dell'impero», va incontro a rovina? Gli studiosi moderni hanno tormentato quell'espressione «urgendo i fati dell'impero», sostenendo alcuni il pieno pessimismo di Tacito, altri un suo (più o meno moderato) ottimismo. La verità è che, come chiunque di noi, anche Tacito stesso, probabilmente, non avrebbe potuto rispondere a domande troppo precise intorno alle sue previsioni del futuro. Se vogliamo intendere questo tormentato c. 33 della Germania, dobbiamo confrontare il pensiero del primo Tacito (il Tacito della Germania e dell'Agricola) con quello del Tacito maturo, degli Annali. Anche qui, la discordia fra i Germani è un motivo centrale. Quando Tiberio richiama Germanico, dopo la guerra germanica del 16 d. C., l'argomento ch'egli adduce è proprio questo: posse et Cheruscos ceterasque rebellium gentes — internis discordiis relinqui (Ann. II, 26). Tacito asserisce che questo argomentare di Tiberio è solo finzione, e che Germanico intende bene fingi ea seque per invidiam parto iam decori abstrahi. C'è appena bisogno di dire che Tacito ha torto: l'argomentare di Tiberio, il quale si attende la salvezza dell'impero dalle discordie dei Germani, è lo stesso argomentare di Tacito nel c. 33 della Germania. C'è insomma, in Tacito, un imperialismo velleitario, che pretende sottomissione piena dei Germani, e rimprovera a Tiberio il richiamo di Germanico; e c'è altresì, nello stesso Tacito, un più accorto e moderato (e se si vuole: rinunciatario) imperialismo, il quale si esprime nel c. 33 della Germania con la speranza nella lotta fra Germani […] concordando - senza che Tacito stesso l'avverta - con il giudizio di Tiberio, posse et Cheruscos ceterasque rebel lium gentes — internis discordis relinqui. Più che di un'evoluzione di Tacito dall'imperialismo «più accorto» all'imperialismo «velleitario» della piena sottomissione germanica, si potrà meglio parlare della compresenza, in Tacito, di entrambe le forme di imperialismo: naturalmente, l'imperialismo «moderato» è più naturale nel 98 d.C., l'anno della Germania, laddove quell'altro «velleitario» è più evidente nell'avanzata età traianea, quando Tacito scrive gli Annali, e Traiano s'è distinto nelle due guerre daciche (del 101-102 e 105-107).
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