sabato 15 marzo 2025

Similitudini e gioia – Seneca, Epistulae, 59

 

[5] Multi sunt qui ad id quod non proposuerant scribere alicuius verbi placentis decore vocentur, quod tibi non evenit: pressa sunt omnia et rei aptata; loqueris quantum vis et plus significas quam loqueris. Hoc maioris rei indicium est: apparet animum quoque nihil habere supervacui, nihil tumidi.

[5] «Ci sono molti che per il fascino di una parola che piace sono indotti a ciò che non si erano proposti di scrivere, cosa che a te non capita: tutto è concentrato e adatto all’argomento; dici quanto vuoi e significhi più di quanto dici. Questo è indizio di un fatto più grande: è evidente che anche l’animo non ha niente di superfluo, niente di gonfio».

[6] Invenio tamen translationes verborum ut non temerarias ita quae periculum sui fecerint; invenio imagines, quibus si quis nos uti vetat et poetis illas solis iudicat esse concessas, neminem mihi videtur ex antiquis legisse, apud quos nondum captabatur plausibilis oratio: illi, qui simpliciter et demonstrandae rei causa eloquebantur, parabolis referti sunt, quas existimo necessarias, non ex eadem causa qua poetis, sed ut imbecillitatis nostrae adminicula sint, ut et dicentem et audientem in rem praesentem adducant.

[6] «Trovo tuttavia delle metafore da una parte non sconsiderate dall’altra tali da mettere alla prova se stesse; trovo immagini, che se qualcuno ci vieta di usare e giudica che esse siano consentite solo ai poeti, mi pare che non abbia letto nessuno degli antichi, presso i quali un discorso non era ancora ricercato un discorso degno di applausi: quelli, che si esprimevano con semplicità e per dimostrare un concetto, sono colmi di similitudini, che io considero necessarie1, non per la medesima ragione dei poeti, ma affinché siano sostegni della nostra debolezza, affinché guidino sia chi parla sia chi ascolta all’argomento in questione».

[13] Pro sua quemque portione adulatio infatuat.

[13] «in rapporto alle proprie caratteristiche l’adulazione rende sciocco ciascuno»2.

[14] Si appetis voluptates et undique et omnes, scito tantum tibi ex sapientia quantum ex gaudio deesse. Ad hoc cupis pervenire, sed erras, qui inter divitias illuc venturum esse te speras, inter honores, id est gaudium inter sollicitudines quaeris: ista, quae sic petis tamquam datura laetitiam ac voluptatem, causae dolorum sunt.

[14] «Se brami piaceri ovunque e tutti, sappi che manchi tanto di sapienza quanto di gioia. Tu desideri giungere a questo, ma sbagli, poiché speri che vi giungerai tra le ricchezze, tra gli onori, cerchi cioè una gioia tra le preoccupazioni: queste cose che cerchi così come se fossero destinate a dare allegria e piacere, sono causa di dolori».

[15] Omnes, inquam, illo tendunt ad gaudium, sed unde stabile magnumque consequantur ignorant.

[15] «Tutti, dico, tendono là alla gioia, ma ignorano da dove possano conseguirne una stabile e grande».

[16] Hoc ergo cogita, hunc esse sapientiae effectum, gaudii aequalitatem. Talis est sapientis animus qualis mundus super lunam: semper illic serenum est.

[16] «Pensa a ciò, dunque, che questo è l’effetto della sapienza, la costanza della gioa. Tale è l’animo del sapiente quale il mondo sulla luna: là c’è sempre il sereno».

[18] Omnem luxuriosi noctem inter falsa gaudia et quidem tamquam supremam agunt: illud gaudium quod deos deorumque aemulos sequitur non interrumpitur, non desinit; desineret, si sumptum esset aliunde. Quia non est alieni muneris, ne arbitrii quidem alieni est: quod non dedit fortuna non eripit. Vale.

[18] I lussuriosi trascorrono ogni notte tra false gioie e proprio come fosse l’ultima: quella gioia che accompagna gli dei e gli emuli degli dèi non si interrompe, non viene meno; verrebbe meno se fosse stata presa da un altro posto. Siccome non è un dono concesso da altri, non è nemmeno soggetta all’arbitrio di altri: ciò che non ha dato la sorte non può portarlo via. Sta’ bene».


1 Già Aristotele segnalava l’importanza di metafore e similitudini: Poetica 1459a πολὺ δὲ μέγιστον τὸ μεταφορικὸν εἶναι. μόνον γὰρ τοῦτο οὔτε παρ' ἄλλου ἔστι λαβεῖν εὐφυΐας τε σημεῖόν ἐστι· τὸ γὰρ εὖ μεταφέρειν τὸ τὸ ὅμοιον θεωρεῖν ἐστιν, «ma la cosa di gran lunga più importante è essere metaforici. Infatti solo questo non è possibile prenderlo da unaltra parte ed è segno di una natura ben fatta: il fare delle belle metafore infatti è osservare ciò che è simile», Reth., ΙΙΙ, 11, 5: καὶ ἐν φιλοσοφίᾳ τὸ ὅμοιον καὶ ἐν πολὺ διέχουσι θεωρεῖν εὐστόχου, «anche in filosofia osservare ciò che è simile anche nelle cose molto distanti è proprio di una persona perspicace». Il medesimo concetto si trova in Schopenhauer, Parerga e paralipomena II (capitolo ventitreesimo, sul mestiere dello scrittore e sullo stile, 289): «Le similitudini hanno un grande valore, in quanto riconducono un rapporto sconosciuto a uno notoInoltre ogni vero intendere consiste in ultima analisi in un afferrare rapportinon appena ho colto anche soltanto in due casi diversi lo stesso rapporto, io ho un concetto di tutta la sua specie il saperne fare di sorprendenti ma pertinenti è prova di profonda intelligenza».

2 Per la medesima ragione Nec credi labor est: sibi quaeque videtur amanda; / Pessima sit, nulli non sua forma placet, «E non è difficile essere creduti: ciascuna si ritiene degna di amore; / sia pure pessima, non c’è nessuna a cui non piaccia il proprio aspetto» (Ovidio, Ars, I, 613-614).

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