τὰ δὲ ἄλλα πάντα χαίρειν ἐάσει· ἑωράκαμεν γὰρ ὅτι ζῶντί τε καὶ τελευτήσαντι αὕτη κρατίστη αἵρεσις. ἀδαμαντίνως δὴ [619] [a] δεῖ ταύτην τὴν δόξαν ἔχοντα εἰς Ἅιδου ἰέναι, ὅπως ἂν ᾖ καὶ ἐκεῖ ἀνέκπληκτος ὑπὸ πλούτων τε καὶ τῶν τοιούτων κακῶν, καὶ μὴ ἐμπεσὼν εἰς τυραννίδας καὶ ἄλλας τοιαύτας πράξεις πολλὰ μὲν ἐργάσηται καὶ ἀνήκεστα κακά, ἔτι δὲ αὐτὸς μείζω πάθῃ, ἀλλὰ γνῷ τὸν μέσον ἀεὶ τῶν τοιούτων βίον αἱρεῖσθαι καὶ φεύγειν τὰ ὑπερβάλλοντα ἑκατέρωσε καὶ ἐν τῷδε τῷ βίῳ κατὰ τὸ δυνατὸν καὶ ἐν παντὶ τῷ ἔπειτα· οὕτω γὰρ [b] εὐδαιμονέστατος γίγνεται ἄνθρωπος.
«Tutto il resto bisogna lasciarlo perdere: abbiamo visto infatti che sia per un vivo sia per un morto questa è la scelta più importante. Pertanto bisogna andare nell’Ade mantenendo con ferrea determinazione questa opinione, per essere anche là imperturbabile davanti a ricchezze a mali siffatti, per non commettere, caduto nella tirannide e altre azioni siffatte, molti e inguaribili infamie, e subirne di maggiori in prima persona, ma per sapere scegliere sempre la vita mediana tra queste e evitare gli eccessi da una parte e dall’altra sia in questa vita per quanto è possibile sia in tutto il tempo a venire: così infatti l’uomo diventa sommamente felice1».
Καὶ δὴ οὖν καὶ τότε ὁ ἐκεῖθεν ἄγγελος ἤγγελλε τὸν μὲν προφήτην οὕτως εἰπεῖν· "Καὶ τελευταίῳ ἐπιόντι, ξὺν νῷ ἑλομένῳ, συντόνως ζῶντι κεῖται βίος ἀγαπητός, οὐ κακός. μήτε ὁ ἄρχων αἱρέσεως ἀμελείτω μήτε ὁ τελευτῶν ἀθυμείτω.»
«E anche allora il messaggero che veniva da laggiù riferiva che l’araldo così disse: “Anche per chi arriva per ultimo, se sceglie con senno, vivendo secondo una stretta disciplina, è a disposizione una vita desiderabile, non cattiva. Né chi inizia la scelta sia trascurato né l’ultimo si scoraggi”».
1 Questa è una felicità autentica, diversa da quella personata, di cui parla Seneca, Epistulae, 80: 5. Libera te primum metu mortis (illa nobis iugum inponit), deinde metu paupertatis. 6. Si vis scire quam nihil in illa mali sit, compara inter se pauperum et divitum vultus: saepius pauper et fidelius ridet; nulla sollicitudo in alto est; etiam si qua incidit cura, velut nubes levis transit: horum qui felices vocantur hilaritas ficta est aut gravis et suppurata tristitia, eo quidem gravior quia interdum non licet palam esse miseros, sed inter aerumnas cor ipsum exedentes necesse est agere felicem. 7. Saepius hoc exemplo mihi utendum est, nec enim ullo efficacius exprimitur hic humanae vitae mimus, qui nobis partes quas male agamus adsignat, «5. Liberati innanzitutto dalla paura della morte (essa ci impone un giogo), poi dalla paura della povertà. 6. Se vuoi sapere quanto non ci sia nulla di male in essa, confronta tra loro i volti dei poveri e dei ricchi: il povero ride più spesso e più schiettamente; nessuna preoccupazione si trova nel profondo; anche se incappa in qualche affanno, passa come una nuvola leggera: l’allegria di questi che sono chiamati felici è recitata oppure è una tristezza opprimente e che rode, e di certo tanto più opprimente poiché non è possibile ogni tanto essere infelici apertamente, ma divorando il cuore stesso tra le pene si è obbligati a fare la parte del felice. 7. Devo usare più spesso questo esempio, e infatti da nessun altro con più efficacia è rappresentato questo mimo della vita umana, che ci assegna i ruoli che interpretiamo male». 8. omnium istorum personata felicitas est. Contemnes illos si despoliaveris. «8. La felicità di tutti costoro è una maschera. Li disprezzerai se avrai tolto loro i vestiti». Così anche nel De providentia, VI, 4: Isti quos pro felicibus aspicis, si non qua occurrunt sed qua latent uideris, miseri sunt, sordidi turpes, ad similitudinem parietum suorum extrinsecus culti; non est ista solida et sincera felicitas: crusta est et quidem tenuis. Itaque dum illis licet stare et ad arbitrium suum ostendi, nitent et inponunt; cum aliquid incidit quod disturbet ac detegat, tunc apparet quantum altae ac uerae foeditatis alienus splendor absconderit, «4. Questi che tu guardi come fortunati, se li vedi non dal lato con cui si presentano ma da quello che nascondono, sono meschini, squallidi, vergognosi, a somiglianza delle loro pareti belli di fuori; non è questa una felicità solida e autentica: è una patina e pure sottile. E così finché è loro consentito stare dritti e mostrarsi a loro arbitrio, brillano e traggono in inganno; quando capita qualcosa che li sconvolge e scopre, allora appare quanta profonda e reale ripugnanza nascondesse quello splendore posticcio».
Cfr. Anche Schopenhauer, Parerga e paralipomena I, Aforismi sulla saggezza della vita. Capitolo quinto: «La maggior parte degli splendori e delle magnificenze è una pura apparenza… tutto ciò è l’insegna, l’atteggiamento, il geroglifico della gioia… lo scopo consiste semplicemente nel far credere ad altri che là per l’appunto ha preso alloggio la gioia: la vera intenzione è di suscitare tale illusione nel cervello altrui…».
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