Verso la fine della sua carcerazione Oscar Wilde scrisse una lunga lettera, intitolata poi De profundis, pubblicata postuma alcuni decenni dopo la sua morte. Si era avvicinato al cattolicesimo e tra i libri che poteva leggere c’era anche un vangelo nella sua lingua originale, il greco. Consiglia anche al destinatario di leggerlo nella sua lingua originale perché, dice (ed è vero), è abbastanza semplice; critica il fatto che venga letto troppo spesso e troppo male, cioè tradotto; viceversa
When we turn to the Greek Testament we feel as if we stepped from a close, dark room into a garden of lilies. I derive double pleasure from the thought that we have in the Greek text the very words of Christ, the ipsissima verba.
Quando si torna al greco pare d’entrare in un giardino di gigli, uscendo da una dimora stretta e buia. Per me, il piacere è raddoppiato dalla riflessione che è estremamente probabile avere qui i veri termini, le «ipsissima verba» di Cristo. (trad. it. di Oreste del Buono, in Oscar Wilde, Opere,Milano, Meridiani Mondadori, 2000)
Molto belle anche le parole di M. Yourcenar (Memorie di Adriano, trad. it. di Lidia Storoni Mazzolani, Torino, Einaudi, 1963, pag. 34):
Fino alla fine dei miei giorni sarò riconoscente a Scauro per avermi costretto a studiare il greco per tempo. Ero ancora bambino, quando tentai per la prima volta di tracciare con lo stilo quei caratteri d'un alfabeto a me ignoto: cominciava per me la grande migrazione, i lunghi viaggi, e il senso d'una scelta deliberata e involontaria quanto quella dell'amore. Ho amato quella lingua per la sua flessibilità di corpo allenato, la ricchezza del vocabolario nel quale a ogni parola si afferma il contatto diretto e vario delle realtà, l'ho amata perché quasi tutto quel che gli uomini han detto di meglio è stato detto in greco.
Je serai jusqu'au bout reconnaissant à Scaurus de m’ avoir mis jeune à l'étude du grec. J’étais enfant encore lorsque j’essayai pour la première fois de tracer du stylet ces caractères d’un alphabet inconnu: mon grand dépaysement commençait, et mes grands voyages, et le sentiment d’un choix aussi délibéré et aussi involontaire que l’amour. J’ai aimé cette langue pour sa flexibilité de corps bien en forme, sa richesse de vocabulaire où s’atteste à chaque mot le contact direct et varié des réalités, et parce que presque tout ce que les hommes ont dit de mieux a été dit en grec.
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