sabato 1 marzo 2025

Pacifismo o inerzia? Rampini, Euripide, Dodds e Tucidide

 Leggo, nell’editoriale di Federico Rampini sul Corriere della sera di oggi 1 marzo 2025, che «non basta la brutalità di Trump a scuotere l’Europa dal torpore che ama definirsi 'pacifista'».

Tacciare i pacifisti di indolenza, infingardaggine, viltà è una prassi impiegata fin dall’antichità da parte dei fautori della guerra. Ne troviamo l’eco, per esempio, nelle tragedie di Euripide, il quale sembra fare velate allusioni a questa disputa tra tra pacifismo e inerzia, ἡσυχία e ἀπραγμοσύνη in greco, già nella Medea, messa in scena nel 431 a. C., anno dello scoppio della guerra: οἱ δ' ἀφ' ἡσύχου ποδὸς / δύσκλειαν ἐκτήσαντο καὶ ῥαιθυμίαν, «altri ancora per un piede tranquillo / hanno acquisito la cattiva fama di indifferenza» (217-218, dove Medea sta lamentando la sua condizione di straniera sapiente, che suscita diffidenza e addirittura odio nella gente comune); χωρὶς γὰρ ἄλλης ἧς ἔχουσιν ἀργίας / φθόνον πρὸς ἀστῶν ἀλφάνουσι δυσμενῆ, «a parte infatti l’altro marchio di indolenza che hanno, / si guadagnano l’invidia malevola da parte dei concittadini» (si sta parlando dei sapienti, 296-297).

Nell’ultima delle sue tragedie, le Baccanti, (che, ricordiamo, è stata scritta tra il 408 e il 407, essendo morto Euripide nell’inverno 407/406 ed essendo giunto in Macedonia nel 408: sono gli ultimi anni della guerra del Peloponneso, quando per Atene si sta mettendo male ma la situazione non è ancora definitivamente compromessa) il tragediografo sembra muoversi nel medesimo campo di discussione, in particolare nella antistrofe a del primo stasimo (vv. 386-401):

ἀχαλίνων στομάτων

ἀνόμου τ' ἀφροσύνας

τὸ τέλος δυστυχία·

ὁ δὲ τᾶς ἡσυχίας

βίοτος καὶ τὸ φρονεῖν     390

ἀσάλευτόν τε μένει καὶ

ξυνέχει δώματα· πόρσω

γὰρ ὅμως αἰθέρα ναίον-

τες ὁρῶσιν τὰ βροτῶν οὐρανίδαι.

τὸ σοφὸν δ' οὐ σοφία,             395

τό τε μὴ θνατὰ φρονεῖν.

βραχὺς αἰών· ἐπὶ τούτῳ

δὲ τις ἂν μεγάλα διώκων

τὰ παρόντ' οὐχὶ φέροι. μαι-

νομένων οἵδε τρόποι καὶ     400

κακοβούλων παρ' ἔμοιγε φωτῶν.

«Di bocche senza freno / e stoltezza senza legge / la fine è sventura; / Invece la vita / della tranquillità e l’essere assennati / rimangono al riparo dai marosi / e tengono insieme le case; lontano / infatti pur abitando l’etere / comunque vedono le vicende dei mortali i celesti. / Il sapere non è sapienza, / e anche il concepire pensieri non mortali. / Breve la vita; per questo / uno che inseguisse grandi cose / non otterrebbe quelle presenti. Queste / sono le inclinazioni di persone folli / e sconsiderate per quanto mi riguarda».

Dioniso è ripetutamente rappresentato come ἥσυχος, «tranquillo» (435 sqq., 622, 636) in contrapposizione a Penteo, l’eccitabile uomo d’azione (214, 647, 670 sq., 789 sq.). Ma  sebbene ἡσυχία sia appropriata per un dio in quanto tale, la religione orgiastica non è, per il nostro modo di pensare, particolarmente ἥσυχον, e quindi siamo autorizzati a considerare questi versi come una presa di posizione contro le inclinazioni belliciste.

Tali slittamenti di significato, per cui nel nostro caso il pacifismo diventa inerzia, sono tipici, come aveva notato Dodds, di un’epoca di crisi in cui i valori tradizionali (come anche un ordine consolidato, aggiungo io) stanno cambiando nel modo descritto nel famoso passaggio di Tucidide sulla trasvalutazione dei valori (III, 82): siamo nel 427 e lo storiografo descrive il clima favorito dalla guerra civile a Corcira dove ἐπέπεσε πολλὰ καὶ χαλεπὰ κατὰ στάσιν ταῖς πόλεσι, γιγνόμενα μὲν καὶ αἰεὶ ἐσόμενα, ἕως ἂν ἡ αὐτὴ φύσις ἀνθρώπων ᾖ, «piombarono molte e dure sofferenze sulle città a causa della guerra civile, cose che capitano e sempre capiteranno, finché la natura umana è la medesima» in quanto ὁ δὲ πόλεμος … βίαιος διδάσκαλος, «la guerra è maestra di violenza» per gli uomini (2); e uno degli effetti paradossali fu che καὶ τὴν εἰωθυῖαν ἀξίωσιν τῶν ὀνομάτων ἐς τὰ ἔργα ἀντήλλαξαν τῇ δικαιώσει. τόλμα μὲν γὰρ ἀλόγιστος ἀνδρεία φιλέταιρος ἐνομίσθη, μέλλησις δὲ προμηθὴς δειλία εὐπρεπής, τὸ δὲ σῶφρον τοῦ ἀνάνδρου πρόσχημα, καὶ τὸ πρὸς ἅπαν ξυνετὸν ἐπὶ πᾶν ἀργόν, «essi anche il valore abituale delle parole in relazione ai fatti cambiarono, in base al loro arbitrio. L’audacia irrazionale infatti fu considerata coraggio fazioso, il temporeggiare previdente viltà ammantata di decoro, la moderazione un pretesto per coprire la codardia, e l’intelligenza in tutto indolenza in tutto» (3; per quest’ultimo stravolgimento cfr. i versi citati supra della Medea). L’esito di tutto ciò fu che Οὕτω πᾶσα ἰδέα κατέστη κακοτροπίας διὰ τὰς στάσεις τῷ Ἑλληνικῷ, καὶ τὸ εὔηθες, οὗ τὸ γενναῖον πλεῖστον μετέχει, καταγελασθὲν ἠφανίσθη, «Così per il mondo greco a causa delle guerre civili si produsse ogni forma di malizia, e anche la semplicità, di cui la nobiltà per lo più partecipa, derisa svanì» (83, 1).

Tali epoche producono anche paradossi come quello del v. 395 per cui cfr. il mio articolo.

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