ἔτ' αὐτὸν ὄψῃ κἀπὶ Δελφίσιν πέτραις
πηδῶντα σὺν πεύκαισι δικόρυφον πλάκα,
πάλλοντα καὶ σείοντα βακχεῖον κλάδον,
μέγαν τ' ἀν' Ἑλλάδ'. ἀλλ' ἐμοί, Πενθεῦ, πιθοῦ·
μὴ τὸ κράτος αὔχει δύναμιν ἀνθρώποις ἔχειν, 310
μηδ', ἢν δοκῇς μέν, ἡ δὲ δόξα σου νοσῇ,
φρονεῖν δόκει τι· τὸν θεὸν δ' ἐς γῆν δέχου
καὶ σπένδε καὶ βάκχευε καὶ στέφου κάρα.
306-313: «Un giorno lo vedrai anche sulle rupi Delfiche / saltare con le fiaccole per il pianoro dalle due cime, / brandendo e scuotendo il bacchico ramo, / grande per l’Ellade. Suvvia, Penteo, dammi retta: / non presumere che il potere abbia potenza per gli uomini, / e non credere che, se hai un’opinione, ma è un’opinione malata, / di avere una qualche intelligenza; accogli il dio nella regione / e fa’ libagioni e baccheggia e incorona il capo».
306 – ἔτ' αὐτὸν ὄψῃ: Tiresia profetizza l’accettazione, un giorno, di Dioniso a Delfi, che lo renderà grande per l’Ellade. In effetti è probabile che storicamente sia stato il passo decisivo per la definitiva ellenizzazione del pericoloso dio tracio che aveva già stabilito i sui riti orgiastici a Orcomeno e Tebe. La particolare divisione di poteri che esisteva in età classica a Delfi sembra il risultato di un deliberato compromesso tra due culti rivali: i divini fratelli hanno lottatto e Apollo è risultato padrone incontrastato per nove mesi, mentre Dioniso ebbe campo libero per i suoi ὄργια per i tre mesi invernali quando Apollo era “assente” e l’oracolo chiuso. A condizione che i sacertodi di Apollo mantenessero il pieno controllo dell’oracolo e il potere politico da esso esercitato, essi erano disposti non solo a fare spazio al dio più giovane, ma anche a diffondere attivamente il suo culto altrove come fecero per esempio ad Atene, e come l’apollineo Tiresia fa qui. – ὄψῃ: futuro di ὁράω. Comunque, Carlo voleva comprare.
307 – πηδῶντα … πλάκα: il pianoro tra le due cime è probabilmente l’altopiano di Livadi, poco sopra a Delfi. Ci si arriva da un paese di montagna che vive soprattutto di turismo invernale che si chiama Arachova; ora è una zona residenziale di seconde case che serve da base per chi va a sciare sul Parnaso. Effettivamente è una zona piuttosto pianeggiante tra le due cime. Quanto alla torcia di pino fa sicuramente riferimento alla danza rituale notturna, alla quale si pensava partecipasse il dio in persona.
309 – πιθοῦ: imperativo aoristo secondo di πείθω «persuado», al medio «ubbidisco»; c’è anche un aoristo primo ἔπεισα.
310-312 – μὴ τὸ κράτος … δόκει τι: la distinzione tra κράτος «potere» e δύναμις «potenza» anticipa e prepara quella del v. 395 tra σοφόν «sapere» e σοφία «sapienza». Possiamo spiegare la distinzione in questi termini: il potere è contrapposto alla potenza, in quanto il primo è al servizio di chi lo esercita (cfr.), mentre la seconda è al servizio della comunità; Seneca (Epistulae, 90, 5) così caratterizza l’età dell’oro: officium erat imperare, non regnum,«comandare era un dovere, non esercizio del potere», rifacendosi a un’espressione di Antigono, generale di Alessandro (riportata da Eliano, Var. hist. II 20), secondo cui τὴν βασιλείαν ἡμῶν ἔνδοξον εἶναι δουλείαν, il nostro regno è un onorevole servizio». – ἢν: crasi di εἰ ἄν.
A proposito dell’ostinato affidamento che si fa su un’opinione (δόξα) non dimostrata cfr. Sofocle, Antigone, 323 ἦ δεινὸν ᾧ δοκεῖ γε καὶ ψευδῆ δοκεῖν, «è davvero terribile per chi esprime opinioni esprimerne anche di false». Tale è l’effetto anche della scrittura per Platone nel mito di Theuth (Fedro, ) τοῦτο γὰρ τῶν μαθόντων λήθην μὲν ἐν ψυχαῖς παρέξει μνήμης ἀμελετησίᾳ, ἅτε διὰ πίστιν γραφῆς ἔξωθεν ὑπ᾽ ἀλλοτρίων τύπων, οὐκ ἔνδοθεν αὐτοὺς ὑφ᾽ αὑτῶν ἀναμιμνῃσκομένους· οὔκουν μνήμης ἀλλὰ ὑπομνήσεως φάρμακον ηὗρες. σοφίας δὲ τοῖς μαθηταῖς δόξαν, οὐκ ἀλήθειαν πορίζεις· πολυήκοοι γάρ σοι γενόμενοι ἄνευ διδαχῆς πολυγνώμονες εἶναι δόξουσιν, ἀγνώμονες ὡς ἐπὶ τὸ πλῆθος ὄντες, καὶ χαλεποὶ συνεῖναι, δοξόσοφοι γεγονότες ἀντὶ σοφῶν, «Questo sapere infatti procurerà oblio nelle anime di chi apprende per trascuratezza della memoria, in quanto per fede nella scrittura richiamano alla memoria da fuori a partire da modelli esterni, non dall’interno essi stessi da sé stessi; hai trovato un farmaco non certo della memoria ma del ricordo. Tu procuri ai discepoli l’opinione della sapienza, non la verità: divenuti tuoi assidui ascoltatori penseranno di essere, senza insegnamento, molto colti, essendo invece per lo più ignoranti, e difficili da frequentare, divenuti apparentemente sapienti, anziché sapienti». Interessante anche la considerazione di Pascal, Pensieri, C 308 (B 327): Le monde juge bien des choses, car il est dans l’ignorance naturelle, qui est le vrai siège de l’homme. Les sciences ont deux extrémités qui se touchent. La première est la pure ignorance naturelle où se trouvent tous les hommes en naissant. L’autre extrémité est celle où arrivent les grandes âmes qui, ayant parcouru tout ce que les hommes peuvent savoir, trouvent qu’ils ne savent rien et se rencontrent en cette même ignorance d’où ils étaient partis. Mais c’est une ignorance savante, qui se connaît. Ceux d’entre‑deux, qui sont sortis de l’ignorance naturelle et n’ont pu arriver à l’autre, ont quelque teinture de cette science suffisante et font les entendus. Ceux‑là troublent le monde et jugent mal de tout. Le peuple et les habiles composent le train du monde, ceux‑là le méprisent et sont méprisés. Ils jugent mal de toutes choses, et le monde en juge bien. «La gente giudica rettamente le cose, perché si trova nell'ignoranza naturale, che è la vera condizione dell'uomo. Le scienze hanno due estremità che si toccano. La prima è la pura ignoranza naturale in cui si trovano tutti gli uomini quando nascono. L'altro estremo è quello a cui arriveranno le grandi anime, che, avendo percorso tutto ciò che l'uomo può sapere, trovano che non sanno nulla e si ritrovano in questa strana ignoranza da cui erano partiti; ma questa è una ignoranza dotta! che conosce se stessa. Quelli tra i due estremi che sono usciti dall'ignoranza naturale e non sono potuti giungere all'altro estremo hanno qualche verniciatura di tale scienza presuntuosa e fanno i saputi. Costoro mettono a soqquadro il mondo e giudicano male ogni cosa. Il popolo e i dotti mandano avanti il mondo; costoro lo disprezzano e ne sono disgustati. Giudicano male ogni cosa, mentre la gente ne giudica bene».
313 – φρονεῖν τι: per questa espressione nel senso di «avere una qualche intelligenza», in cui il τι è usato ironicamente, cfr. Tucidide, V, 7, 3, dove ci viene detto di Cleone che ἐπίστευσέ τι φρονεῖν, «confidava di avere una qualche intelligenza», nel senso che si credeva un “qualche” generale.