lunedì 23 dicembre 2024

Che follia è precorrere il male? – Seneca, Epistulae, 98

 

2. Omnia quae fortuna intuetur ita fructifera ac iucunda fiunt si qui habet illa se quoque habet nec in rerum suarum potestate est. Errant enim, Lucili, qui aut boni aliquid nobis aut mali iudicant tribuere fortunam: materiam dat bonorum ac malorum et initia rerum apud nos in malum bonumve exiturarum. Valentior enim omni fortuna animus est et in utramque partem ipse res suas ducit beataeque ac miserae vitae sibi causa est.

«2. Tutte le cose che la fortuna tiene d’occhio così diventano fruttuose e fonte di gioia, se chi le possiede possiede anche se stesso ed è in potere delle sue cose. Errano infatti, Lucilio, coloro che giudicano che la fortuna ci attribuisca qualche bene o qualche male: dà materia di bene e di male e gli spunti di situazioni che sfocieranno per noi in male o bene. Infatti l’animo è più forte di ogni fortuna ed è lui a condurre le proprie cose in entrambe le direzioni ed è causa per sé di una vita felice e infelice».

6. Calamitosus est animus futuri anxius et ante miserias miser, qui sollicitus est ut ea quibus delectatur ad extremum usque permaneant; nullo enim tempore conquiescet et expectatione venturi praesentia, quibus frui poterat, amittet.

«6. È disgraziato l’animo ansioso del futuro e afflitto prima delle afflizioni, che si preoccupa che i piaceri di cui gode durino fino all’ultimo giorno; infatti non avrà pace in nessun momento e nell’attesa di ciò che verrà perderà il presente, di cui avrebbe potuto godere».

7. Potest fortunam cavere qui potest ferre;… Nihil est nec miserius nec stultius quam praetimere: quae ista dementia est malum suum antecedere?

«7. Può guardarsi dalla fortuna colui che può sopportarla;… Nulla è più infelice e stupido che temere in anticipo: che follia è questa di precorrere il proprio male?

8. Plus dolet quam necesse est qui ante dolet quam necesse est.

«8. Soffre più di quanto è necessario chi soffre prima di quanto è necessario».

11. Habere eripitur, habuisse numquam. Peringratus est qui, cum amisit, pro accepto nihil debet.

«11. Il possedere viene strappato, l’aver posseduto mai. È oltremodo ingrato chi, quando ha perso un bene, non deve niente in cambio di ciò che ha ricevuto».

13. intellegebat enim quod dari posset et eripi posse.

«13. capiva infatti che quello che può essere dato può anche essere strappato».

17. Hoc est, mi Lucili, philosophiam in opere discere et ad verum exerceri, videre quid homo prudens animi habeat contra mortem, contra dolorem, cum illa accedat, hic premat; quid faciendum sit a faciente discendum est.

«17. Questo significa, mio Lucilio, imparare la filosofia operando e allenarsi confrontandosi con la verità, vedere che animo abbia un uomo saggio contro la morte, contro il dolore, quando quella si avvicina e questo ci schiaccia; si deve imparare ciò che si deve fare da chi lo fa».

La tortura del crimine è nel crimine – Seneca, Epistulae, 97

 

1. Erras, mi Lucili, si existimas nostri saeculi esse vitium luxuriam et neglegentiam boni moris et alia quae obiecit suis quisque temporibus: hominum sunt ista, non temporum. Nulla aetas vacavit a culpa.

«1. Sbagli, mio Lucilio, se pensi che siano un vizio della nostra epoca la mollezza e la negligenza dei buoni costumi e altre cose che ciascuno rimprovera ai suoi tempi: questi sono vizi degli uomini, non dei tempi. Nessuna età è stata esente da colpa».

8. licentia urbium aliquando disciplina metuque, numquam sponte considet.

«8. La sfrenatezza delle città si placherà qualche volta con la disciplina e la paura, mai spontaneamente».

10. Omne tempus Clodios, non omne Catones feret… omnium aliarum artium peccata artificibus pudori sunt offenduntque deerrantem, vitae peccata delectant.

«10. Tutte le epoche porteranno dei Clodi, non tutte dei Catoni… i peccati di tutte le altre arti sono motivo di vergogna per gli artefici e offendono chi sbaglia, i peccati della vita danno gusto».

14. prima illa et maxima peccantium est poena peccasse, nec ullum scelus, licet illud fortuna exornet muneribus suis, licet tueatur ac vindicet, inpunitum est, quoniam sceleris in scelere supplicium est.

«14. Quella prima e massima punizione di chi pecca è aver peccato, e nessun crimine, ancorché la fortuna lo adorni coi suoi doni, ancorché lo protegga e lo liberi dal castigo, è senza punizione, poiché la tortura del crimine è nel crimine».

16. Multos fortuna liberat poena, metu neminem.

«16. La fortuna libera molti dalla punizione, dalla paura nessuno».

domenica 22 dicembre 2024

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Amor fati – Seneca, Epistulae, 96

 

1. solet fieri. Hoc parum est: debuit fieri.

2. Decernuntur ista, non accidunt… non pareo deo sed adsentior.

«1. suole accadere. Questo è poco: doveva accadere.

2. Queste non sono cose che accadono, sono decretate… non obbedisco a dio ma sono in accordo».

5. Atqui vivere, Lucili, militare est.

«5. E vivere, Lucilio, è fare il soldato».

Seneca, Epistulae, 95 (4)

 49. Quae causa est dis bene faciendi? natura. Errat si quis illos putat nocere nolle: non possunt.

«49. Che motivo hanno gli dèi di fare del bene? La natura. Erra chi pensa che quelli non vogliano nuocere: non possono».

51. Magna scilicet laus est si homo mansuetus homini est.

«51. È davvero un grande merito se l’uomo è mite con l’uomo».

52. Natura nos cognatos edidit… Illa aequum iustumque composuit; ex illius constitutione miserius est nocere quam laedi; ex illius imperio paratae sint iuvandis manus.

«52. La natura ci ha messi al mondo fratelli… Quella ha organizzato equità e giustizia; secondo la sua costituzione è fonte di maggiore infelicità nuocere piuttosto che essere offesi; per suo comando le mani siano a disposizione di chi ha bisogno di aiuto».

53. Ille versus et in pectore et in ore sit:homo sum, humani nihil a me alienum puto”.

«53. Sia nel cuore sia in bocca ci sia quel famoso verso: “homo sum, humani nihil a me alienum puto1”.

54. Aestimemus singula fama remota et quaeramus quid sint, non quid vocentur.

«54. Valutiamo le singole cose rimuovendo i luoghi comuni e ricerchiamo cosa siano, non come siano chiamate».

57. Actio recta non erit nisi recta fuerit voluntas; ab hac enim est actio.

«57. L’azione non sarà retta se non sarà stata retta la volontà; da questa infatti deriva l’azione».

58. nihil liquet incertissimo regimine utentibus, fama. Si vis eadem semper velle, vera oportet velis.

«58. Niente è chiaro per chi usa il più incerto dei criteri, i luoghi comuni. Se vuoi volere sempre le medesime cose, bisogna che tu voglia cose vere».

1 Terenzio, Heautontimorumenos, 77.

Seneca, Epistulae, 95 (3)

 31. Quae clam commissa capite luerent, tum quia paludati fecere laudamus. Non pudet homines, mitissimum genus, gaudere sanguine alterno et bella gerere gerendaque liberis tradere, cum inter se etiam mutis ac feris pax sit.

«31. Quei crimini che commessi di nascosto comporterebbero la pena di morte, allora siccome li hanno compiuti uomini in alta uniforme li lodiamo. Non si vergognano gli uomini, una specie mitissima, di godere del sangue reciproco e di fare guerre e di lasciarle in eredità ai figli affinché le continuino, mentre anche gli animali muti e quelli feroci tra loro stanno in pace».

33. nihil turpest cuius placet pretium. Homo, sacra res homini, iam per lusum ac iocum occiditur et quem erudiri ad inferenda accipiendaque vulnera nefas erat, is iam nudus inermisque producitur satisque spectaculi ex homine mors est.

«33. Non è turpe niente di ciò di cui ci va bene il prezzo. L’uomo, cosa sacra per l’uomo, ormai è ucciso per gioco e per scherzo e quello che era un sacrilegio che fosse istruito a infliggere e ricevere ferite, oramai è mandato avanti nudo e disarmato e la morte per mano di un uomo è uno spettacolo che appaga».

36. illis aut hebetibus et obtusis aut mala consuetudine obsessis diu robigo animorum effricanda est.

«36. Da coloro che sono o fiacchi e ottusi o da lungo assediati da una cattiva abitudine bisogna grattare via la ruggine degli animi».

39. Non promittet se talem in perpetuum qui bonus casu est.

«39. Non garantisce che sarà tale per sempre colui che è buono per caso».

43. Eadem aut turpia sunt aut honesta: refert quare aut quemadmodum fiant.

«43. Le medesime cose sono o turpi o oneste: è importante perché o come sono compiute».

45-46. Proponamus oportet finem summi boni ad quem nitamur, ad quem omne factum nostrum dictumque respiciat; veluti navigantibus ad aliquod sidus derigendus est cursus. [46] Vita sine proposito vaga est.

«45-46. Dobbiamo tenere davanti agli occhi il fine del sommo bene, per il quale sforzarci, al quale rivolga lo sguardo ogni nostra azione e parola; allo stesso modo i naviganti devono indirizzare il corso a una qualche stella. 46. La vita senza una scopo è vagabonda».

47. deum colit qui novit.

«47. Onora dio chi lo conosce».

Euripide, Baccanti – testo traduzione e commento – Maturità 2025 – 1° episodio: vv. 328-336

 

Χο. ὦ πρέσβυ, Φοῖβόν τ' οὐ καταισχύνεις λόγοις,

τιμῶν τε Βρόμιον σωφρονεῖς, μέγαν θεόν.

Κα. ὦ παῖ, καλῶς σοι Τειρεσίας παρῄνεσεν. 330

οἴκει μεθ' ἡμῶν, μὴ θύραζε τῶν νόμων·

νῦν γὰρ πέτῃ τε καὶ φρονῶν οὐδὲν φρονεῖς.

κεἰ μὴ γὰρ ἔστιν ὁ θεὸς οὗτος, ὡς σὺ φῄς,

παρὰ σοὶ λεγέσθω· καὶ καταψεύδου καλῶς

ὡς ἔστι, Σεμέλη θ’ ἵνα δοκῇ θεὸν τεκεῖν, 335

ἡμῖν τε τιμὴ παντὶ τῷ γένει προσῇ.1


1 328-336: «Co. O vecchio, non oltraggi Febo con le tue parole, / e onorando Bromio sei saggio, è un dio grande. / Ca. Figlio, bene ti ha consigliato Tiresia. / Sta’ con noi, non fuori dalle norme; / ora infatti voli a vuoto e pur essendo dotato di ragione non ragioni. / E se anche questo non è un dio, come tu dici, / sia detto tra te e te; e di’ una bella menzogna, / che lo è, affinché sembri che Semele abbia partorito un dio, / e si aggiunga onore a noi e a tutta la stirpe».

328-329 – Sulle congratulazioni del coro a Tiresia vedi introduzione al primo episodio.

330 – παρῄνεσεν: aoristo indicativo di παραινέω.

331 – μὴ θύραζε τῶν νόμων: i νόμοι in questione sono le prescrizioni della religione tradizionale, le πάτριοι παραδοχαί del v. 201, che esigono di proclamare Dioniso come dio.

332 – πέτῃ: per l’uso di «volare» nel senso di «vaneggiare» cfr. Teognide, 1053 τῶν γὰρ μαινομένων πέτεται θυμός τε νόος τε, «l’animo e la mente dei folli svolazza», e anche Aristofane, Uccelli, 169 Ἄνθρωπος ὄρνις ἀστάθμητος, πετόμενος, «l’uomo è un uccello instabile, che svolazza».

334 – καταψεύδου καλῶς: un καλὸν ψεῦδος non significa una «menzogna nobile», ma una che produce un effetto positivo, come in Tucidide, VI, 12, 1 τό τε ψεύσασθαι καλῶς χρήσιμον, il mentire bene è utile» (è il discorso di Nicia contro la spedizione in Sicilia). Si pensi anche a Machiavelli (Principe, XVIII, 3): «Dovete adunque sapere come e’ sono dua generazioni di combattere: l'uno, con le leggi; l'altro, con la forza. Quel primo è proprio dello uomo; quel secondo, delle bestie. Ma perché el primo molte volte non basta, conviene ricorrere al secondo: pertanto a uno principe è necessario sapere bene usare la bestia e lo uomo. Questa parte è suta insegnata alli principi copertamente da li antichi scrittori, e’ quali scrivono come Achille e molti altri di quelli principi antichi furno dati a nutrire a Chirone centauro, che sotto la sua disciplina li custodissi. Il che non vuole dire altro, avere per precettore uno mezzo bestia e mezzo uomo, se non che bisogna a uno principe sapere usare l’una e l’altra natura: e l’una sanza l’altra non è durabile.
Sendo dunque necessitato uno principe sapere bene usare la bestia, debbe di quelle pigliare la golpe e il lione: perché el lione non si difende da’ lacci, la golpe non si difende da’ lupi; bisogna adunque essere golpe a conoscere e’ lacci, e lione a sbigottire e’ lupi: coloro che stanno semplicemente in sul lione, non se ne intendono. Non può pertanto uno signore prudente, né debbe, osservare la fede quando tale osservanzia gli torni contro e che sono spente le cagioni che la feciono promettere. E se li uomini fussino tutti buoni, questo precetto non sarebbe buono: ma perché e’ sono tristi e non la osserverebbono a te, tu etiam non l’hai a osservare a loro; né mai a uno principe mancorno cagioni legittime di colorire la inosservanzia. Di questo se ne potrebbe dare infiniti esempli moderni e mostrare quante pace, quante promisse sono state fatte irrite e vane per la infidelità de’ principi: e quello che ha saputo meglio usare la golpe, è meglio capitato. Ma è necessario questa natura saperla bene colorire ed essere gran simulatore e dissimulatore: e sono tanto semplici gli uomini, e tanto ubbidiscono alle necessità presenti, che colui che inganna troverrà sempre chi si lascerà ingannare».

Cadmo è per un verso il vecchio timido e ansioso di tenere dalla parte giusta τὸ θεῖον (v. 341, cfr. 199), per l’altro verso lo scaltro politicante di famiglia, di cui dve difendere l’onore potendo vantare una parentela con la divinità. Si può interpretare la ripetizione di μεθ' ἡμῶν ai vv. 331 e 342 nel senso che la famiglia deve rimanere unita.

335 – τεκεῖν: infinito aoristo, secondo, di τίκτω.

Seneca, Epistulae, 95 (2)

 

15. cibo… qui postquam coepit non ad tollendam sed ad inritandam famem quaeri et inventae sunt mille conditurae quibus aviditas excitaretur, quae desiderantibus alimenta erant onera sunt plenis.

«15. cibo… che da quando ha cominciato ad essere ricercato non per eliminare ma per stimolare la fame e furono inventati mille condimenti da cui l’avidità è eccitata, quelli che erano alimenti per chi li bramava sono pesi pchi è pieno».

21. Libidine vero ne maribus quidem cedunt: pati natae… adeo perversum commentae genus inpudicitiae viros ineuntquia feminam exuerant, damnatae sunt morbis virilibus.

«21. In verità quanto a libidine non sono da meno nemmeno rispetto ai maschi: nate per essere passive… avendo escogitato un genere di impudicizia a tal punto perverso, vanno sopra gli uomini… siccome si erano svestite della natura femminile, sono state candannate ai morbi maschili».

23. Nunc vero quam longe processerunt mala valetudinis! Has usuras voluptatium pendimus ultra modum fasque concupitarum. Innumerabiles esse morbos non miraberis: cocos numera. Cessat omne studium et liberalia professi sine ulla frequentia desertis angulis praesident; in rhetorum ac philosophorum scholis solitudo est: at quam celebres culinae sunt, quanta circa nepotum focos <se> iuventus premit!

«23. Ma ora quanti progressi hanno fatto le malattie! Questi sono gli interessi che paghiamo per i piaceri bramati oltre la giusta misura. Non ti meraviglierai che le malattie siano innumerevoli: conta i cuochi. Cessa ogni studio e i professori delle arti liberali presidiano angoli abbandonati senza la minima presenza; nelle scuole dei retori e dei filosofi c’è il deserto: ma come sono affollate le cucine, quanta gioventù si accalca intorno ai focolari dei debosciati!»

Seneca, Epistulae, 95 (1)

 

2. Interdum enim enixe petimus id quod recusaremus si quis offerretSaepe aliud volumus, aliud optamus.

«2. Talvolta infatti chiediamo con tutte le forze ciò che rifiuteremmo se qualcuno ce lo offrisse… Spesso vogliamo una cosa, scegliamo un’altra».

8. in illis excusatius est voluntate peccare quam casu, in hac maxima culpa est sponte delinquere.

«8. In quelle1 è più scusabile sbagliare per volontà che per caso, in questa2 la colpa più grande è cadere in fallo volontariamente».

10. Philosophia autem et contemplativa est et activa: spectat simul agitque.

«10. La filosofia del resto è sia contemplativa sia attiva: osserva e contemporaneamente agisce».

13. simplex enim illa et aperta virtus in obscuram et sollertem scientiam versa est docemurque disputare, non vivere.

«13. Infatti quella virtù semplice e chiara si è stravolta in una scienza oscura e smaliziata e ci viene insegnato a disputare, non a vivere».


1 Cioè: nelle altre arti.

2 Cioè: la sapienza.

Euripide, Baccanti – testo traduzione e commento – Maturità 2025 – 1° episodio: vv. 319-327

 

ὁρᾷς; σὺ χαίρεις, ὅταν ἐφεστῶσιν πύλαις

πολλοί, τὸ Πενθέως δ' ὄνομα μεγαλύνῃ πόλις·     320

κἀκεῖνος, οἶμαι, τέρπεται τιμώμενος.

ἐγὼ μὲν οὖν καὶ Κάδμος, ὃν σὺ διαγελᾷς,

κισσῷ τ' ἐρεψόμεσθα καὶ χορεύσομεν,

πολιὰ ξυνωρίς, ἀλλ' ὅμως χορευτέον,

κοὐ θεομαχήσω σῶν λόγων πεισθεὶς ὕπο.             325

μαίνῃ γὰρ ὡς ἄλγιστα, κοὔτε φαρμάκοις

ἄκη λάβοις ἂν οὔτ' ἄνευ τούτων νόσου.1


1 319-327: «Vedi? Tu godi, quando si presentano alle porte / in molti, e la città magnifica il nome di Penteo; / anche quello, penso, si rallegra ad essere onorato. / Io dunque e Cadmo, che tu deridi, / ci incoroneremo d’edera e danzeremo, / una coppia canuta, ma ugualmente si deve danzare, / e non combatterò contro un dio, perché persuaso dalle tue parole. / Sei folle infatti nel modo più doloroso, e non potresti / trovare una cura dalla malattia né coi filtri né senza questi».

319-321 – Gli dèi, come i re, esigono di essere trattati con rispetto, come si esprime anche Afrodite in Ippolito, 7-8 ἔνεστι γὰρ δὴ κἀν θεῶν γένει τόδε· / τιμώμενοι χαίρουσιν ἀνθρώπων ὕπο, «infatti anche nella stirpe degli dèi c’è questo sentimento: / godono di essere onorati dagli uomini»; così anche la Morte in Alcesti, 53 τιμαῖς κἀμὲ τέρπεσθαι δόκει, «considera che anche io godo degli onori che mi appartengono». L’argomento è di quelli che ci si poteva aspettare che Penteo, egli stesso un cultore della τιμή, apprezzasse.

326 – φαρμάκοις: come il serpente nutre la sua rabbia con cattivi veleni (Omero, Iliade, XXII, 94 βεβρωκὼς κακὰ φάρμακ’, ἔδυ δέ τέ μιν χόλος αἰνός, «avendo mangiato cattivi veleni, penetrò in lui terribile collera»; si tratta di Ettore che, assimilato ad un serpente, sta duellando con Achille), così la rabbia omicida o altre follie umane sono convenzionalmente ascritte a cause analoghe: cfr. Eschilo, Agamennone, 1407-1409 τί κακόν, ὦ γύναι, / … ἐδανὸν ἢ ποτὸν / πασαμένα … / τόδ’ ἐπέθου θύος, «o donna, quale cattivo / … cibo o pozione / avendo ingerito … / infliggesti questo sacrificio?» (si tratta evidentemente di Clitemnestra); Banquo parla negli stessi termini quando domanda, dopo l’incontro con le streghe have we eaten on the insane root / That takes the reason prisoner?, «abbiamo mangiato la radice della follia / che fa prigioniera la ragione?».

327 – νόσου: Tebe è per definizione la città malata, come si vede anche, e soprattutto, nell’Edipo re di Sofocle, 22-30: Πόλις γάρ, ὥσπερ καὐτὸς εἰσορᾷς, ἄγαν / ἤδη σαλεύει, κἀνακουφίσαι κάρα / βυθῶν ἔτ’ οὐχ οἵα τε φοινίου σάλου, /φθίνουσα μὲν κάλυξιν ἐγκάρποις χθονός, / φθίνουσα δ’ ἀγέλαις βουνόμοις τόκοισί τε / ἀγόνοις γυναικῶν· ἐν δ’ ὁ πυρφόρος θεὸς / σκήψας ἐλαύνει, λοιμὸς ἔχθιστος, πόλιν, / ὑφ’ οὗ κενοῦται δῶμα Καδμεῖον, μέλας δ’ / Ἅιδης στεναγμοῖς καὶ γόοις πλουτίζεται, «La città, infatti, come tu stesso vedi, troppo / ormai fluttua, e non è più capace / di risollevare il capo dai gorghi del vortice di sangue, / consumandosi nei calici senza frutti della terra, / consumandosi nelle mandrie al pascolo e nei parti / senza figli delle donne; intanto il dio portatore di fuoco / lanciatosi si avventa sulla città, odiosissima peste, / dalla quale è svuotata la casa di Cadmo, e il nero / Ade si arricchisce di gemiti e lamenti».

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Precetti vari – Seneca, Epistulae, 94 (5)

 55. Sit ergo aliquis custos et aurem subinde pervellat abigatque rumores et reclamet populis laudantibus.

«55. Ci sia dunque un guardiano1 e ci tiri di quando in quando le orecchie e tenga lontani i luoghi comuni e alzi la voce contro le lodi della folla».

56. Nulli nos vitio natura conciliat: illa integros ac liberos genuit. Nihil quo avaritiam nostram inritaret posuit in aperto: pedibus aurum argentumque subiecit calcandumque ac premendum dedit quidquid est propter quod calcamur ac premimur.

«56. La natura non ci avvicina a nessun vizio: essa ci generò incorrotti e liberi. Non pose in vista nulla che eccitasse la nostra avidità: mise sotto i nostri piedi l’oro e l’argento e ha dato da caplestare e schiacciare tutto ciò per cui siamo caplestati e schiacciati».

57. Haec supra nos natura disposuit, aurum quidem et argentum et propter ista numquam pacem agens ferrum, quasi male nobis committerentur, abscondit.

«57. Queste cose2 la natura le ha poste sopra di noi, mentre l’oro e l’argento e anche il ferro, che a causa loro non è mai in pace, come se fosse un male affidarceli, li nascose».

58. sterile terrae genus et infernum.

«58. Un genere di terra sterile e infernale3».


1 Cfr. supra, par. 52.

2 Si riferisce alla volta celeste, per contemplare la quale siamo gli unici esseri a rivolgere lo sguardo verso l’alto.

3 Detto dei metalli, oro, argento e ferro. Una svalutazione simile la troviamo in Ovidio, Ars, III, 121-132: Prisca iuvent alios: ego me nunc denique natum / Gratulor: haec aetas moribus apta meis. / Non quia nunc terrae lentum subducitur aurum, / Lectaque diverso litore concha venit: / Nec quia decrescunt effosso marmore montes, / Nec quia caeruleae mole fugantur aquae: / Sed quia cultus adest, nec nostros mansit in annos / Rusticitas, priscis illa superstes avis. / Vos quoque nec caris aures onerate lapillis, / Quos legit in viridi decolor Indus aqua, / Nec prodite graves insuto vestibus auro. / Per quas nos petitis, saepe fugatis, opes, «I tempi antichi piacciano ad altri: io sono contento di essere nato ora alla fine: questa epoca è congeniale ai miei gusti. / Non perché ora è sottratto alla terra il malleabile oro, / e da lidi lontani giunga la conchiglia raccolta: / né perché i monti decrescono per le cave di marmo, / né perché le cerulee acque sia messe in fuga da una diga: / ma perché c’è la raffinatezza, e non è rimasta fino ai nostri anni / quella rozzezza presente nei nostri antenati. / Voi pure non appesantite le orecchie di costose pietruzze, / che l’Indiano abbronzato raccolse nella verde acqua, / e non incedete gravate da vesti di oro intessuto. / A causa del fasto con cui ci cercate, spesso ci fate fuggire».

Precetti vari – Seneca, Epistulae, 94 (4)

 

42. Aeque praecepta bona, si saepe tecum sint, profutura quam bona exempla.

«42. I buoni precetti, se stanno spesso con te, sono destinati a giovare come i buoni esempi».

43. adeo etiam sine ratione ipsa veritas lucet.

«43. A tal punto anche senza spiegazioni la verità da sola splende1».

46. Duae res plurimum roboris animo dant, fides veri et fiducia: utramque admonitio facit.

«46. Due cose danno il massimo della solidità all’animo, la fede nella verità e la fiducia in sé stessi: entrambe le cose produce l’ammonimento».

47. Pars virtutis disciplina constat, pars exercitatione; et discas oportet et quod didicisti agendo confirmes.

«47. Una parte della virtù è fatta di apprendimento, una parte di esercizio; bisogna sia che impari sia che consolidi ciò che hai imparato».

52. nonne apparet opus esse nobis aliquo advocato qui contra populi praecepta praecipiat?

«52. Non è forse evidente che abbiamo bisogno di un qualche difensore che che ci dia insegnamenti contrari a quelli della massa?3».

54. Nemo errat uni sibi, sed dementiam spargit in proximos accipitque invicemDum facit quisque peiorem, factus est; didicit deteriora, dein docuit.

«54. Nessuno erra solo per se stesso, ma semina follia sul prossimo e la riceve a sua volta… Mentre ciascuno rende un altro peggiore, è diventato tale; impara cose più brutte, poi le insegna4».


1 cfr. supra nota a par. 28.

3 Cfr. De vita beata, 1: Decernatur itaque et quo tendamus et qua, non sine perito aliquo cui explorata sint ea in quae procedimus, quoniam quidem non eadem hic quae in ceteris peregrinationibus condicio est: in illis comprensus aliquis limes et interrogati incolae non patiuntur errare at hic tritissima quaeque uia et celeberrima maxime decipit, «Si stabilisca dunque sia dove tendere sia per dove, non senza una persona esperta per cui siano stati esplorati quei campi verso cui procediamo, perché certamente qui la condizione non è la medesima che negli altri viaggi: in quelli un sentiero riconosciuto e gli abitanti interrogati non consentono di sbagliare strada, mentre qui tutte le vie più sono battute e frequentate più traggono in inganno».

4 Cfr. De vita beata, 1: Nemo sibi tantummodo errat, sed alieni erroris et causa et auctor est; nocet enim adplicari antecedentibus et, dum unusquisque mauult credere quam iudicare, numquam de uita iudicatur, semper creditur, uersatque nos et praecipitat traditus per manus error. Alienis perimus exemplis: sanabimur, [si] separemur modo a coetu. «Nessuno erra soltanto per sé, ma è causa e fonte dellerrore altrui; nuoce infatti appoggiarsi a coloro che ci precedono e, finché ciascuno preferisce credere piuttosto che giudicare, mai si esprime un giudizio sulla vita, sempre si crede, e ci tormenta e fa precipitare lerrore tramandato di mano in mano. Periamo a causa degli esempi altrui: guariremo, basta che ci separiamo dalla folla».

sabato 21 dicembre 2024

Giovanni Ghiselli: Metodologia 39.

Giovanni Ghiselli: Metodologia 39.:   39. Tutta la Cultura (Pascal), come tutta la natura (Platone, Menone ), è imparentata con se stessa . Dostoevskij: “tutto scorre e in...

Precetti vari – Seneca, Epistulae, 94 (3)

 

32. Non enim tantum adfectibus inpedimur quominus probanda faciamus sed inperitia inveniendi quid quaeque res exigat. Habemus interdum compositum animum, sed residem et inexercitatum ad inveniendam officiorum viam, quam admonitio demonstrat.

«32. Infatti non solo dalle emozioni siamo ostacolati nel compiere azioni lodevoli, ma dall’incapacità di trovare che cosa esiga ciascuna situazione. Abbiamo un animo a volte ordinato, ma pigro e non esercitato a trovare la via dei doveri, che un ammonimento ci indica».

33. 'Expelle' inquit 'falsas opiniones de bonis et malis, in locum autem earum veras repone, et nihil habebit admonitio quod agat.' Ordinatur sine dubio ista ratione animus, sed non ista tantum; nam quamvis argumentis collectum sit quae bona malaque sint, nihilominus habent praecepta partes suas.

«33. “Scaccia” dici “le false opinioni sul bene e sul male, e metti al loro posto quelle vere, e gli ammonimenti non avranno nulla da fare.” Senza dubbio con questo sistema l’animo è messo in riga, ma non solo con questo; infatti per quanto si sia compreso con argomentazioni cosa siano il bene e il male, ciò non di meno i precetti hanno le loro funzioni».

37. Leges quoque proficiunt ad bonos mores, utique si non tantum imperant sed docent.

«37. Le leggi pure giovano ai buoni costumi, specialmente se non solo comandano ma insegnano».

38. Proficiunt vero; itaque malis moribus uti videbis civitates usas malis legibus.

«38. Giovano in verità; e così vedrai che si avvalgono di cattivi costumi le città che si avvalgono di cattive leggi».

40. est aliquid quod ex magno viro vel tacente proficias.

«40. C’è qualche vantaggio che si può trarre da un grande uomo anche se tace».

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Precetti vari – Seneca, Epistulae, 94 (2)

 

27. emas non quod opus est, sed quod necesse est; quod non opus est asse carum est1.

«27. Compra non ciò che è utile, ma ciò che è necessario; ciò che non è utile poi è costoso anche per un soldo».

28. Advocatum ista non quaerunt: adfectus ipsos tangunt et natura vim suam exercente proficiunt.

«28. Queste parole non richiedono un difensore: toccano i sentimenti stessi e giovano perché la natura esercita il suo potere2».

29. Praeterea quaedam sunt quidem in animo, sed parum prompta, quae incipiunt in expedito esse cum dicta sunt; quaedam diversis locis iacent sparsa, quae contrahere inexercitata mens non potest. Itaque in unum conferenda sunt et iungenda, ut plus valeant.

«29. Inoltre certi principi sono sì nell’animo, ma poco in evidenza, e cominciano a essere disponibili quando sono stati espressi a parole; certi altri si trovano sparpagliati in luoghi lontani tra loro, e una mente non esercitata non è in grado di concentrarli. Quindi bisogna radunarli e collegarli in un’unica visione affinché abbiano più forza».

30. Aut si praecepta nihil adiuvant, omnis institutio tollenda est; ipsa natura contenti esse debemus. Hoc qui dicunt non vident alium esse ingenii mobilis et erecti, alium tardi et hebetis, utique alium alio ingeniosiorem. Ingenii vis praeceptis alitur et crescit novasque persuasiones adicit innatis et depravata corrigit.

«30. Oppure se i precetti non danno nessun aiuto, bisogna eliminare ogni educazione; dobbiamo essere contenti della natura in sé. Quelli che dicono ciò non vedono che uno è di intelligenza vivace e fiero, un altro lento e ottuso, in ogni caso uno e più intelligente di un altro. La forza dell’intelligenza si nutre di precetti e cresce e aggiunge nuove convinzioni a quelle innate e corregge quelle distorte».

1 Catone, Precetti al figlio Marco,  fr. 10 Iordan.

2 Cfr. Wilde, The picture of Dorian Gray, cap. 2: And beauty is a form of genius-- is higher, indeed, than genius, as it needs no explanation. It is of the great facts of the world, like sunlight, or spring-time, or the reflection in dark waters of that silver shell we call the moon. It cannot be questioned. It has its divine right of sovereignty. It makes princes of those who have it.

«E la bellezza è una manifestazione del genio. In realtà è più elevata del genio, perché non ha bisogno di spiegazioni. È una delle grandi cose del mondo, come la luce del sole o la primavera, o come il riflesso nell'acqua cupa di quella conchiglia argentea che chiamiamo luna. Non può venire contestata. Regna per diritto divino e rende principi coloro che la possiedono».

Cfr. infra, par. 43.

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Precetti vari – Seneca, Epistulae, 94 (1)

 

11. praecepta dare scienti supervacuum est, nescienti parum; audire enim debet non tantum quid sibi praecipiatur sed etiam quare.

«11. Dare dei precetti a chi sa è del tutto superfluo, a chi non sa poco; deve infatti ascoltare non solo cosa gli venga insegnato ma anche perché».

12. nihil a te adiuvabitur, aures eius contraria monitionibus tuis fama possedit.

«12. …in nulla sarà da te aiutato, le sue orecchie sono possedute da voci contrarie alle tue esortazioni».

23. etiam remotis vitiis, quid et quemadmodum debeamus facere discendum est.

«23. Quand’anche siano stati rimossi i vizi, bisogna imparare cosa e come dobbiamo fare».

24. sed non ideo nihil sanat quia non omnia.

«24. ma non per questo non guarisce niente poiché non guarisce tutto».

25. Saepe animus etiam aperta dissimulat; ingerenda est itaque illi notitia rerum notissimarum.

«25. L’animo spesso dissimula anche le cose evidenti; e così bisogna introdurvi la nozione delle cose più note».

26. Quaecumque salutaria sunt saepe agitari debent, saepe versari, ut non tantum nota sint nobis sed etiam parata. Adice nunc quod aperta quoque apertiora fieri solent.

«26. Tutti i precetti salutari devono essere considerati spesso, rielaborati spesso, affinché siano per noi non solo noti ma anche disponibili. Aggiungi ora il fatto che anche le cose evidenti sono solite diventare più evidenti».

venerdì 20 dicembre 2024

Giovanni Ghiselli: Metodologia 32. La parresia.

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Euripide, Baccanti – testo traduzione e commento – Maturità 2025 – 1° episodio: vv. 314-318

 

οὐχ ὁ Διόνυσος σωφρονεῖν ἀναγκάσει

γυναῖκας ἐς τὴν Κύπριν, ἀλλ' ἐν τῇ φύσει     315

[τὸ σωφρονεῖν ἔνεστιν εἰς τὰ πάντ' ἀεί]

τοῦτο σκοπεῖν χρή· καὶ γὰρ ἐν βακχεύμασιν

οὖσ' ἥ γε σώφρων οὐ διαφθαρήσεται.1


1 314-318: «Non sarà Dioniso a costringere le donne / a essere caste nei confronti di Cipride, ma nell’indole / [risiede l’essere casti sempre in tutte le circostanze] / questo bisogna considerare; infatti anche se è / nei baccanali quella casta non si corromperà».

Dioniso non è immorale, è non-morale: la moralità è irrilevante per una religione di tipo dionisiaco. Quanto all’idea che sia la φύσις e non il νόμος – o in altri termini il carattere e non le circostanze – a determinare il comportamento, si veda fr. 810 μέγιστον ἆρ᾽ ἦν ἡ φύσις, «davvero potentissima era la natura» e Ippolito, 79 sqq. ὅσοις διδακτὸν μηδὲν ἀλλ' ἐν τῇ φύσει / τὸ σωφρονεῖν εἴληχεν ἐς τὰ πάντ' ἀεί, / τούτοις δρέπεσθαι, τοῖς κακοῖσι δ' οὐ θέμις, «in quanti non è per nulla insegnabile ma nella natura / era toccato di avere l’essere assennati sempre in tutte le circostanze, / per questi è concesso coglierla, per i cattivi no». Qui ancora una volta Tiresia parla la lingua del quinto secolo e pensa nei termini resi usuali dal movimento sofista. Si può pensare al Callicle del Gorgia di Platone (483d), il quale chiedendosi con quale diritto i potenti della terra scatenano le guerre e cose simili si risponde che οὗτοι κατὰ φύσιν τὴν τοῦ δικαίου ταῦτα πράττουσιν, καὶ ναὶ μὰ Δία κατὰ νόμον γε τὸν τῆς φύσεως, οὐ μέντοι ἴσως κατὰ τοῦτον ὃν ἡμεῖς τιθέμεθα, «costoro fanno queste cose secondo la natura del giusto, e sì per Zeus secondo la legge della natura, non certo secondo questa che stabiliamo noi», intendendo che la natura, nella sua declinazione del diritto naturale, prevale, o dovrebbe prevalere, sul diritto positivo.

Euripide, Baccanti – testo traduzione e commento – Maturità 2025 – 1° episodio: vv. 306-313

 

ἔτ' αὐτὸν ὄψῃ κἀπὶ Δελφίσιν πέτραις

πηδῶντα σὺν πεύκαισι δικόρυφον πλάκα,

πάλλοντα καὶ σείοντα βακχεῖον κλάδον,

μέγαν τ' ἀν' Ἑλλάδ'. ἀλλ' ἐμοί, Πενθεῦ, πιθοῦ·

μὴ τὸ κράτος αὔχει δύναμιν ἀνθρώποις ἔχειν,         310

μηδ', ἢν δοκῇς μέν, ἡ δὲ δόξα σου νοσῇ,

φρονεῖν δόκει τι· τὸν θεὸν δ' ἐς γῆν δέχου

καὶ σπένδε καὶ βάκχευε καὶ στέφου κάρα.1


1 306-313: «Un giorno lo vedrai anche sulle rupi Delfiche / saltare con le fiaccole per il pianoro dalle due cime, / brandendo e scuotendo il bacchico ramo, / grande per l’Ellade. Suvvia, Penteo, dammi retta: / non presumere che il potere abbia potenza per gli uomini, / e non credere che, se hai un’opinione, ma è un’opinione malata, / di avere una qualche intelligenza; accogli il dio nella regione / e fa’ libagioni e baccheggia e incorona il capo».

306 – ἔτ' αὐτὸν ὄψῃ: Tiresia profetizza l’accettazione, un giorno, di Dioniso a Delfi, che lo renderà grande per l’Ellade. In effetti è probabile che storicamente sia stato il passo decisivo per la definitiva ellenizzazione del pericoloso dio tracio che aveva già stabilito i sui riti orgiastici a Orcomeno e Tebe. La particolare divisione di poteri che esisteva in età classica a Delfi sembra il risultato di un deliberato compromesso tra due culti rivali: i divini fratelli hanno lottatto e Apollo è risultato padrone incontrastato per nove mesi, mentre Dioniso ebbe campo libero per i suoi ὄργια per i tre mesi invernali quando Apollo era “assente” e l’oracolo chiuso. A condizione che i sacertodi di Apollo mantenessero il pieno controllo dell’oracolo e il potere politico da esso esercitato, essi erano disposti non solo a fare spazio al dio più giovane, ma anche a diffondere attivamente il suo culto altrove come fecero per esempio ad Atene, e come l’apollineo Tiresia fa qui. ὄψῃ: futuro di ὁράω. Comunque, Carlo voleva comprare.

307 πηδῶντα πλάκα: il pianoro tra le due cime è probabilmente l’altopiano di Livadi, poco sopra a Delfi. Ci si arriva da un paese di montagna che vive soprattutto di turismo invernale che si chiama Arachova; ora è una zona residenziale di seconde case che serve da base per chi va a sciare sul Parnaso. Effettivamente è una zona piuttosto pianeggiante tra le due cime. Quanto alla torcia di pino fa sicuramente riferimento alla danza rituale notturna, alla quale si pensava partecipasse il dio in persona.

309 – πιθοῦ: imperativo aoristo secondo di πείθω «persuado», al medio «ubbidisco»; c’è anche un aoristo primo ἔπεισα.

310-312 μὴ τὸ κράτος δόκει τι: la distinzione tra κράτος «potere» e δύναμις «potenza» anticipa e prepara quella del v. 395 tra σοφόν «sapere» e σοφία «sapienza». Possiamo spiegare la distinzione in questi termini: il potere è contrapposto alla potenza, in quanto il primo è al servizio di chi lo esercita (cfr.), mentre la seconda è al servizio della comunità; Seneca (Epistulae, 90, 5) così caratterizza l’età dell’oro: officium erat imperare, non regnum,«comandare era un dovere, non esercizio del potere», rifacendosi a un’espressione di Antigono, generale di Alessandro (riportata da Eliano, Var. hist. II 20), secondo cui τὴν βασιλείαν ἡμῶν ἔνδοξον εἶναι δουλείαν, il nostro regno è un onorevole servizio». ἢν: crasi di εἰ ἄν.

A proposito dell’ostinato affidamento che si fa su un’opinione (δόξα) non dimostrata cfr. Sofocle, Antigone, 323 ἦ δεινὸν ᾧ δοκεῖ γε καὶ ψευδῆ δοκεῖν, «è davvero terribile per chi esprime opinioni esprimerne anche di false». Tale è l’effetto anche della scrittura per Platone nel mito di Theuth (Fedro, ) τοῦτο γὰρ τῶν μαθόντων λήθην μὲν ἐν ψυχαῖς παρέξει μνήμης ἀμελετησίᾳ, ἅτε διὰ πίστιν γραφῆς ἔξωθεν ὑπ᾽ ἀλλοτρίων τύπων, οὐκ ἔνδοθεν αὐτοὺς ὑφ᾽ αὑτῶν ἀναμιμνῃσκομένους· οὔκουν μνήμης ἀλλὰ ὑπομνήσεως φάρμακον ηὗρες. σοφίας δὲ τοῖς μαθηταῖς δόξαν, οὐκ ἀλήθειαν πορίζεις· πολυήκοοι γάρ σοι γενόμενοι ἄνευ διδαχῆς πολυγνώμονες εἶναι δόξουσιν, ἀγνώμονες ὡς ἐπὶ τὸ πλῆθος ὄντες, καὶ χαλεποὶ συνεῖναι, δοξόσοφοι γεγονότες ἀντὶ σοφῶν, «Questo sapere infatti procurerà oblio nelle anime di chi apprende per trascuratezza della memoria, in quanto per fede nella scrittura richiamano alla memoria da fuori a partire da modelli esterni, non dallinterno essi stessi da sé stessi; hai trovato un farmaco non certo della memoria ma del ricordo. Tu procuri ai discepoli lopinione della sapienza, non la verità: divenuti tuoi assidui ascoltatori penseranno di essere, senza insegnamento, molto colti, essendo invece per lo più ignoranti, e difficili da frequentare, divenuti apparentemente sapienti, anziché sapienti». Interessante anche la considerazione di Pascal, Pensieri, C 308 (B 327): Le monde juge bien des choses, car il est dans lignorance naturelle, qui est le vrai siège de lhomme. Les sciences ont deux extrémités qui se touchent. La première est la pure ignorance naturelle où se trouvent tous les hommes en naissant. Lautre extrémité est celle où arrivent les grandes âmes qui, ayant parcouru tout ce que les hommes peuvent savoir, trouvent quils ne savent rien et se rencontrent en cette même ignorance d’où ils étaient partis. Mais cest une ignorance savante, qui se connaît. Ceux dentredeux, qui sont sortis de lignorance naturelle et nont pu arriver à l’autre, ont quelque teinture de cette science suffisante et font les entendus. Ceux‑là troublent le monde et jugent mal de tout. Le peuple et les habiles composent le train du monde, ceux‑là le méprisent et sont méprisés. Ils jugent mal de toutes choses, et le monde en juge bien. «La gente giudica rettamente le cose, perché si trova nell'ignoranza naturale, che è la vera condizione dell'uomo. Le scienze hanno due estremità che si toccano. La prima è la pura ignoranza naturale in cui si trovano tutti gli uomini quando nascono. L'altro estremo è quello a cui arriveranno le grandi anime, che, avendo percorso tutto ciò che l'uomo può sapere, trovano che non sanno nulla e si ritrovano in questa strana ignoranza da cui erano partiti; ma questa è una ignoranza dotta! che conosce se stessa. Quelli tra i due estremi che sono usciti dall'ignoranza naturale e non sono potuti giungere all'altro estremo hanno qualche verniciatura di tale scienza presuntuosa e fanno i saputi. Costoro mettono a soqquadro il mondo e giudicano male ogni cosa. Il popolo e i dotti mandano avanti il mondo; costoro lo disprezzano e ne sono disgustati. Giudicano male ogni cosa, mentre la gente ne giudica bene».

313 – φρονεῖν τι: per questa espressione nel senso di «avere una qualche intelligenza», in cui il τι è usato ironicamente, cfr. Tucidide, V, 7, 3, dove ci viene detto di Cleone che ἐπίστευσέ τι φρονεῖν, «confidava di avere una qualche intelligenza», nel senso che si credeva un “qualche” generale.

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DIONISO E AFRODITE: Euripide, Baccanti – testo traduzione e commento – Maturità 2025 – 1° episodio: vv. 298-301 (aggiornamento)

  μάντις δ '  ὁ δαίμων ὅδε· τὸ γὰρ βακχεύσιμον καὶ τὸ μανιῶδες μαντικὴν πολλὴν ἔχει· ὅταν γὰρ ὁ θεὸς ἐς τὸ σῶμ '  ἔλθῃ πολύς,       ...