Scena
Fuori dalla reggia sulla Cadmea, l’acropoli di Tebe. Sul palcoscenico c’è un sepolcro dalle cui vicinanze si leva del fumo (v. 6); oltre il recinto che la circonda grappoli di vite (vv. 11 sq.). La facciata del palazzo, che fa da scenografia sul fondo della scena, è in stile dorico, con colonne che sorreggono una trabeazione (vv. 591, 1214).
Prologo – vv. 1-63
Come la maggior parte delle tragedie di Euripide, le Baccanti si aprono con un monologo1 (laddove Sofocle predilige un dialogo2). Qui come altrove uno degli scopi del monologo è di collocare l’azione nel contesto della tradizione leggendaria, fornendo le coordinate spazio-temporali, un sommario degli eventi che che la precedono e i rapporti tra i personaggi principali. La tecnica non è tipica di Euripide: i discorsi di apertura delle Trachinie e del Filottete (del 409 a.C.) hanno una funzione simile. Però in mano a Euripide si è irrigidita in qualcosa di simile a una convenzione scenica3, nella quale la rilevanza drammatica è deliberatamente subordinata all’esigenza di una rapida e lucida esposizione di τὰ ἔξω τοῦ δράματος, i fatti esterni all’azione: si tratta del «problemino di aritmetica» di cui parla, sarcasticamente, Nietzsche nella Nascita della tragedia in relazione al «socratismo estetico» (cap. 12 passim):
Potremo ormai avvicinarci all’essenza del socratismo estetico, la cui legge suprema suona a un di presso: “Tutto deve essere razionale per essere bello”, come proposizione parallela al principio socratico: «solo chi sa è virtuoso” […] Come esempio della produttività di quel metodo razionalistico ci può servire il prologo euripideo […] Per Euripide […] l’effetto della tragedia era basato […] su quelle grandi scene retorico-liriche, in cui la passione e la dialettica del protagonista si gonfiavano in un fiume largo e potente. La tragedia eschileo-sofoclea impiegava i mezzi artistici più ingegnosi per dare come per caso in mano allo spettatore, nelle prime scene, tutti i fili necessari alla comprensione […] Euripide credette di notare che, durante quelle prime scene, lo spettatore era in particolare agitazione per risolvere il problemino di aritmetica dell’antefatto, sicché le bellezze artistiche e il pathos dell’esposizione andavano per lui perduti. Perciò pose il prologo […] in bocca a un personaggio in cui si potesse aver fiducia: spesso una divinità doveva […] togliere ogni dubbio sulla realtà del mito […] Della stessa veridicità divina Euripide ha bisogno a chiusura del suo dramma, per assicurare il pubblico circa l’avvenire dei suoi eroi: è questo il compito del famigerato deus ex machina […] Così Euripide è come poeta soprattutto l’eco delle sue cognizioni coscienti […] Egli deve aver avuto spesso l’impressione come di dover far vivere per il dramma l’inizio dello scritto di Anassagora […] “al principio tutto era mescolato, poi venne l’intelletto e creò ordine”. E se col suo nus Anassagora apparve tra i filosofi come il primo sobrio fra individui tutti ebbri, anche Euripide può aver concepito con un’immagine simile il suo rapporto con gli altri poeti della tragedia […] Anche il divino Platone parla per lo più solo ironicamente della facoltà creativa del poeta, quando essa non sia una conoscenza consapevole, e la parifica alla dote dell’indovino e dell’interprete di sogni […] Euripide si accinse a mostrar al mondo […] l’opposto del poeta “irragionevole”; il suo principio estetico “tutto deve essere cosciente per essere bello” è la proposizione parallela al precetto socratico «tutto deve essere cosciente per essere buono”. Per conseguenza Euripide può essere considerato come il poeta del socratismo estetico. Ma Socrate era quel secondo spettatore che non capiva la tragedia antica e perciò non l'apprezzava; in lega con lui Euripide osò essere l’araldo di una nuova creazione artistica. Se a causa di essa la tragedia antica perì, il principio micidiale fu dunque il socratismo estetico […] Riconosciamo in Socrate l’avversario di Dioniso […] e, benché destinato a essere dilaniato dalle Menadi del tribunale ateniese, costringe alla fuga lo stesso potentissimo dio».
L’essenza del socratismo di cui parla Nietzsche si può rintracciare nel Protagora: καὶ γὰρ ὑμεῖς ὡμολογήκατε ἐπιστήμης ἐνδείᾳ ἐξαμαρτάνειν περὶ τὴν τῶν ἡδονῶν αἵρεσιν καὶ λυπῶν τοὺς ἐξαμαρτάνοντας – ταῦτα δέ ἐστιν ἀγαθά τε καὶ κακά –, «anche voi infatti siete d'accordo che per mancanza di scienza sbagliano coloro che sbagliano riguardo alla scelta dei piaceri e dei dolori – questi sono i beni e i mali –» (357d); ἐπί γε τὰ κακὰ οὐδεὶς ἑκὼν ἔρχεται οὐδὲ ἐπὶ ἃ οἴεται κακὰ εἶναι, «nessuno va volontariamente verso i mali, nemmeno verso quelli che crede siano mali» (358d).
Sia nel tono sia nella sostanza questo prologo richiama quello di Afrodite nell’Ippolito (del 428 a.C.): entrambe aprono con un’energica affermazione della divinità di chi parla (qui: Ἥκω Διὸς παῖς, «Sono giunto, figlio di Zeus», v. 1; nell’Ippolito: Πολλὴ μὲν ἐν βροτοῖσι κοὐκ ἀνώνυμος / θεὰ κέκλημαι Κύπρις, «Una dea potente tra i mortali e non priva di gloria, / sono chiamata Cipride», vv. 1-2), mostrano come questa divinità sia disprezzata e annunciano un disegno per ottenere vendetta. Tuttavia Dioniso differisce da Afrodite e dagli altri θεοὶ προλογίζοντες, «gli dèi che recitano il prologo» familiari al pubblico di Euripide, nel fatto che egli non scomparirà dall’azione una volta consegnato il suo sinistro messaggio, ma vi si unirà senza essere riconosciuto, in forma umana, insieme agli attori nel dramma umano. Questo punto doveva essere ben chiaro a ciascun membro del pubblico: per questo viene detto non una sola volta, ma tre (vv. 4, 53, 54).
1 Alcesti (Apollo), Medea (la nutrice), Ippolito (Afrodite), Eraclidi Iolao), Supplici (Etra), Andromaca (Andromaca), Ecuba (fantasma di Polidoro), Elettra (il contadino), Eracle, (Anfitrione), Ione (Hermes), Troiane (Poseidone), Ifigenia in Tauride (Ifigenia), Elena (Elena), Fenicie (Giocasta), Oreste (Elettra) e Baccanti. Fa eccezione l’Ifigenia in Aulide.
2 Così Aiace, Antigone, Elettra, Edipo re, Edipo a Colono.
3 Aristofane nelle Rane (del 405 a.C.) al v. 946 dimostra che come tale era percepita ormai: ἀλλ᾽ οὑξιὼν πρώτιστα μέν μοι τὸ γένος εἶπ᾽ ἂν εὐθὺς / τοῦ δράματος, «ma quello che entrava all'inizio per me soleva dire subito l’origine / del dramma». Sono parole del personaggio Euripide.
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