Per questa esperienza i Greci, come molti altri popoli, credevano che il vino fosse in certe circostanze un aiuto. L’ebbrezza, come William James ha osservato, ‘espande, unisce, e dice Sì: porta il suo devoto dalla superficie fredda delle cose al loro nucleo radioso; lo rende momentaneamente tutt’uno con la verità’.1 Così il vino acquista valore religioso: colui che lo beve diventa ἔνθεος – ha bevuto la divinità. Ma il vino non era l’unico o il più importante dei mezzi di comunione. Le menadi, nel nostro dramma, non sono ebbre: Penteo pensava che lo fossero (vv. 260 ss.), ma ci viene espressamente detto che si sbagliava (vv. 686s.); alcune di loro preferivano bere acqua, o anche latte (vv. 704ss.). Qui Euripide è probabilmente corretto da un punto di vista del rito: per quanto riguarda le altre azioni delle sue menadi appartengono ad un rituale invernale che non sembra essere stato una festa del vino, e per sua natura non poteva esserlo. Il periodo giusto per l’ebbrezza sacra è la primavera, quando il vino nuovo è pronto per essere aperto; ed è allora che lo troviamo, per esempio ad Atene durante la ‘Festa delle Coppe’ che costituiva una parte delle Anthesterie.
1 The Varieties of Religious Experience, 387.
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