πρώτας δὲ Θήβας τάσδε γῆς Ἑλληνίδος1
ἀνωλόλυξα, νεβρίδ' ἐξάψας χροὸς
θύρσον τε δοὺς ἐς χεῖρα, κίσσινον βέλος· 25
ἐπεί μ' ἀδελφαὶ μητρός, ἃς ἥκιστ' ἐχρῆν,2
Διόνυσον οὐκ ἔφασκον ἐκφῦναι Διός,
Σεμέλην δὲ νυμφευθεῖσαν ἐκ θνητοῦ τινος
ἐς Ζῆν' ἀναφέρειν τὴν ἁμαρτίαν λέχους,
Κάδμου σοφίσμαθ', ὧν νιν οὕνεκα κτανεῖν 30
Ζῆν' ἐξεκαυχῶνθ', ὅτι γάμους ἐψεύσατο.
1 23-25: «Per prima Tebe di questa terra Ellenica / ho fatto risuonare delle mie grida, avendo messo sulla / pelle la nebride e dato in mano il tirso, dardo di edera;»
24 – ἀνωλόλυξα: L’ὀλολυγή è il grido rituale di trionfo o di ringraziamento delle donne. νεβρίδα: la pelle di cerbiatto, il tradizionale mantello delle menadi sia in poesia sia nei vasi, serviva senza dubbio come necessario riparo contro il freddo dell’ὀρειβασία invernale; ma è anche un ἱερὸν ἐνδυτόν, «un indumento sacro» (v. 137), originariamente indossato perché comunicava a chi lo indossava la virtù dionisiaca del cerbiatto (cfr. v. 866), come la pelle di leone conferisce a Eracle la virtù del leone.
25 – θύρσον: nella sua forma originale, come si vede nei vasi attici del VI secolo, è un βακχεῖον κλάδον (v. 308), ramo dell’albero sacro al dio: averlo con sé significava avere con sé la divinità. Nel pitture del V secolo comincia ad essere sostituito dal νάρθηξ, o bastone, che in sé era un oggetto profano (usato per esempio per bacchettare i ragazzi) ma diventa un θύρσος con l’aggiunta di un magico ramo di foglie d’edera attorcigliato sulla cima. Il νάρθηξ dunque è, in senso stretto, una parte del θύρσος, ma nelle Baccanti le due parole sembrano essere spesso sinonimi. Questa è la descrizione che fa Dodds: The thirsus was formed by inserting a bunch of ivy leaves in the hollow tip of a fennel-rod. κίσσινον: l’edera non era usata come un comodo sostituto invernale delle le foglie di vite o per rinfrescare le fronti febbricitanti delle bevitrici, come pensava Plutarco (Quastiones convivales, 3, 2), ma perché nella sua sempreverde vitalità essa rappresenta la vittoria della vegetazione sull’inverno suo nemico, come anche il μῖλαξ (v. 108) e l’abete (v. 110). Il suo posto nel rituale dionisiaco è originario, forse più antico di quello della vite. βέλος: non è una mera metafora; il tirso era effettivamente usato come un dardo (vv. 762, 1099).
2 26-31: «perché le sorelle di mia madre, e meno di tutti dovevano, / ripetevano che Dioniso non è nato da Zeus, / ma che Semele messa incinta da un mortale / riportava a Zeus il peccato di letto, / scaltro espediente di Cadmo, per cui si compiacevano / che Zeus l’avesse uccisa per il fatto di aver mentito sulle nozze».
28 – νυμφευθεῖσαν: un eufemismo per «sedotta».
30 – Κάδμου σοφίσμαθ᾽: Le sorelle di Semele pensavano, senza carità, che la storia della sua unione con Zeus fosse stata inventata da Cadmo per coprire il suo sbandamento morale.
31 – ἐξεκαυχῶνθ’: il verbo esprime il malizioso trionfo delle sorelle.
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