venerdì 29 novembre 2024

Una banana da sei milioni...

Leggo sul sito di Repubblica che un miliardario (sic!) ha mangiato una banana comprata per 6 milioni.

Magari la sua ricchezza suciterà l’ammirazione di alcuni, forse di molti: non certo la mia. Io lo considero un vero pezzente, a dispetto dei suoi miliardi. Seneca, in Epistulae, 2, cita Epicuro correggendolo: Hodiernum hoc est quod apud Epicurum nanctus sum - soleo enim et in aliena castra transire, non tamquam transfuga, sed tamquam explorator -: 'honesta' inquit 'res est laeta paupertas’. Illa vero non est paupertas, si laeta est; non qui parum habet, sed qui plus cupit, pauper est.  «Questo è quello di oggi che ho attinto da Epicuro – sono solito infatti passare anche nell’accampamento degli altri, non come un fuggiasco, ma come una spia – : “è cosa onorevole” dice “una povertà lieta”. Quella però non è povertà, se è lieta; è povero non chi ha poco, ma chi brama di più». Poi aggiunge: Quid enim refert quantum illi in arca, quantum in horreis iaceat, quantum pascat aut feneret, si alieno imminet, si non acquisita sed acquirenda computat? Quis sit divitiarum modus quaeris? primus habere quod necesse est, proximus quod sat est. «Che importanza ha infatti quanto egli abbia nel forziere, quanto si trovi nel granaio, quanto bestiame abbia o denaro presti, se è proteso sui beni altrui, se conta non ciò che ha raggiunto ma ciò che deve raggiungere? Tu chiedi quale sia la misura della ricchezza? Primo possedere ciò che è necessario, poi ciò che è sufficiente».

Si può accostare questo pensiero a quello di La Rochefoucauld, Massime, 48: La félicité est dans le goût et non pas dans les choses; et c'est par avoir ce qu'on aime qu'on est heureux, et non par avoir ce que les autres trouvent aimable, «La felicità sta nel gusto e non nelle cose; ed è per il possesso di ciò che si ama che si è felici, e non per quello di ciò che gli altri trovano amabile».

In fondo penso che quella di questa gente sia un Personata felicitas, crusta (De providentia VI, 4): 4. Isti quos pro felicibus aspicis, si non qua occurrunt sed qua latent uideris, miseri sunt, sordidi turpes, ad similitudinem parietum suorum extrinsecus culti; non est ista solida et sincera felicitas: crusta est et quidem tenuis. Itaque dum illis licet stare et ad arbitrium suum ostendi, nitent et inponunt; cum aliquid incidit quod disturbet ac detegat, tunc apparet quantum altae ac uerae foeditatis alienus splendor absconderit, «Questi che tu guardi come fortunati, se li vedi non dal lato con cui si presentano ma da quello che nascondono, sono meschini, squallidi, vergognosi, a somiglianza delle loro pareti belli di fuori; non è questa una felicità solida e autentica: è una patina e pure sottile. E così finché è loro consentito stare dritti e mostrarsi a loro arbitrio, brillano e traggono in inganno; quando capita qualcosa che li sconvolge e scopre, allora appare quanta profonda e reale ripugnanza nascondesse quello splendore posticcio».

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