venerdì 29 novembre 2024

Aristotele, Poetica – 3

 

1449a-b

Ἡ δὲ κωμῳδία ἐστὶν ὥσπερ εἴπομεν μίμησις φαυλοτέρων μέν, οὐ μέντοι κατὰ πᾶσαν κακίαν, ἀλλὰ τοῦ αἰσχροῦ ἐστι τὸ γελοῖον μόριον. τὸ γὰρ γελοῖόν ἐστιν ἁμάρτημά τι καὶ αἶσχος ἀνώδυνον καὶ οὐ φθαρτικόν, οἷον εὐθὺς τὸ γελοῖον πρόσωπον αἰσχρόν τι καὶ διεστραμμένον ἄνευ ὀδύνης. αἱ μὲν οὖν τῆς τραγῳδίας μεταβάσεις καὶ δι' ὧν ἐγένοντο οὐ λελήθασιν, ἡ δὲ κωμῳδία διὰ τὸ μὴ [1449b] σπουδάζεσθαι ἐξ ἀρχῆς ἔλαθεν· καὶ γὰρ χορὸν κωμῳδῶν ὀψέ ποτε ὁ ἄρχων ἔδωκεν

«La commedia è come abbiamo detto imitazione di persone peggiori, certo non secondo ogni vizio, ma del brutto è parte il ridicolo. Infatti il ridicolo è un errore e una bruttezza indolore e non dannosa, proprio come la maschera ridicola è un qualcosa di brutto e stravolto senza sofferenza. Dunque le trasformazioni della tragedia e le circostanze attraverso cui avvennero non ci sfuggono, mentre la commedia ci sfugge per il fatto di non essere tenuta da principio in seria considerazione; e in fatti l’arconte concesse il coro comico solo tardi1».

ἡ μὲν οὖν ἐποποιία τῇ τραγῳδίᾳ μέχρι μὲν τοῦ μετὰ μέτρου λόγῳ μίμησις εἶναι σπουδαίων ἠκολούθησεν· τῷ δὲ τὸ μέτρον ἁπλοῦν ἔχειν καὶ ἀπαγγελίαν εἶναι, ταύτῃ διαφέρουσιν· ἔτι δὲ τῷ μήκει· ἡ μὲν ὅτι μάλιστα πειρᾶται ὑπὸ μίαν περίοδον ἡλίου εἶναι ἢ μικρὸν ἐξαλλάττειν, ἡ δὲ ἐποποιία ἀόριστος τῷ χρόνῳ καὶ τούτῳ διαφέρει

«Dunque l’epica segue la tragedia fino a essere imitazione in versi con la parola di persone serie; in questo invece differiscono, cioè nell’avere semplicemente un verso e nell’essere una narrazione; e ancora per la lunghezza: una infatti cerca di essere compresa in un solo giro di sole o di scostarsene di poco, mentre l’epica è indeterminata nel tempo e in questo diferisce2».

Περὶ μὲν οὖν τῆς ἐν ἑξαμέτροις μιμητικῆς καὶ περὶ κωμῳδίας ὕστερον ἐροῦμεν· περὶ δὲ τραγῳδίας λέγωμεν ἀναλαβόντες αὐτῆς ἐκ τῶν εἰρημένων τὸν γινόμενον ὅρον τῆς οὐσίας. ἔστιν οὖν τραγῳδία μίμησις πράξεως σπουδαίας καὶ τελείας μέγεθος ἐχούσης, ἡδυσμένῳ λόγῳ χωρὶς ἑκάστῳ τῶν εἰδῶν ἐν τοῖς μορίοις, δρώντων καὶ οὐ δι' ἀπαγγελίας, δι' ἐλέου καὶ φόβου περαίνουσα τὴν τῶν τοιούτων παθημάτων κάθαρσιν.

«Riguardo all’arte imitativa in esametri e alla commedia diremo in seguito; parliamo invece riguardo alla tragedia ricavandone dalle cose dette la definizione dell’essenza. È dunque la tragedia imitazione di un’azione seria e compiuta avente una certa grandezza, con parola ornata separatamente per ciascuno degli aspetti nelle sue parti, di persone che agiscono e non mediante la narrazione, che attraverso pietà e paura porta a compimento la purificazione3 di siffatte passioni».


1 Furono rappresentate commedie per la prima volta alle Grandi Dionisie nel 486-5 a.C., mentre queste feste in onore di Dioniso furono istituite come cornice delle tragedie nel 535 a.C. da Pisistrato.

2 Un po’ più avanti però (1459a) pone un limite a tale indeterminatezza, almeno per Omero che risulta superiore a tutti gli altri τῷ μηδὲ τὸν πόλεμον καίπερ ἔχοντα ἀρχὴν καὶ τέλος ἐπιχειρῆσαι ποιεῖν ὅλον· λίαν γὰρ ἂν μέγας καὶ οὐκ εὐσύνοπτος ἔμελλεν ἔσεσθαι ὁ μῦθος, ἢ τῷ μεγέθει μετριάζοντα καταπεπλεγμένον τῇ ποικιλίᾳ. νῦν δ' ἓν μέρος ἀπολαβὼν ἐπεισοδίοις κέχρηται αὐτῶν πολλοῖς, «per non avere tentato di rappresentare la guerra tutta intera, anche se un principio e una fine; infatti il racconto avrebbe dovuto essere troppo lungo e difficile da abbracciare con un solo sguardo, oppure anche se misurato nella lunghezza, complicato per la varietà. Ora invece estrapolata una parte si è avvalso di molti episodi».

3 Cfr. Shakespeare, Amleto, II, 2, 566-570: I have heard / that guilty creatures, sitting at a play, / have, by the very cunning of the scene, / been struck so to the soul that presently / they have proclaim’d their malefactions.
Diversamente Nietzsche (L’anticristo, Maledizione del cristianesimo, 7): «Schopenhauer era ostile alla vita: per questo la compassione divenne per lui la virtù... Aristotele, come è noto, vide nella compassione uno stato morboso e pericoloso, che si farebbe bene ad aggredire qua e là con un rimedio purgativo: concepì la tragedia come purga».

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