I più accorti fra i critici recenti hanno riconosciuto l’inadeguatezza sia della teoria della “palinodia” sia di quella rivale. Ciascuna tesi si adatta ad alcuni fatti, ma manifestamente non si adatta ad altri: cioè entrambe sono troppo grossolane.
(a) Uno studio più preciso dell’opera del poeta nel suo complesso non rivela nessun brusco volta-faccia, come la tesi della “palinodia” postulava. Da una parte il suo interesse e la sua simpatetica comprensione per la religione orgiastica non risalgono al suo periodo macedone: la cosa appare già nel canto degli iniziati nei Cretesi (fr. 472), nell’ode sui misteri della Madre della Montagna nell’Elena (1301 sqq.) e nei resti di un’ode nell’Ipsipile (frr. 57, 58 Arnim = 31, 32 Hunt). L’Elena fu rappresentata nel 412, l’Ipsipile qualche anno dopo; i Cretesi invece sembrano essere opera anteriore. I cori delle Baccanti sono quindi l’ultima e più compiuta espressione di sentimenti che avevano ossessionato Euripide per almeno sei anni prima della sua morte, e forse per molto di più. Così anche gli attacchi alla “ingegnosità”1 e l’elogio alla saggezza istintiva della gente semplice, che ha sorpreso i critici delle Baccanti, non sono in realtà niente di nuovo. Dall’altra parte, la discrepanza fra le norme morali implicite nei miti e quelle dell’umanità civilizzata, su cui molti dei personaggi di Euripide richiamano l’attenzione, non è ignorata nelle Baccanti. La vendetta di Dioniso è tanto crudele e indiscriminata quanto quella di Afrodite nell’Ippolito. In entrambe le tragedie un umile adoratore della divinità protesta contro questa immoralità, e protesta invano (Baccanti, 1348-1349). E poi entrambi i drammi finiscono con le simpatie del pubblico concentrate solamente sulle vittime del dio. Non è così che Euripide, o chiunque altro, avrebbe composto una palinodia.
1 [N.d.T.] In inglese Dodds dice cleverness, mentre «saggezza» è wisdom. Sono le parole con cui traduce il v. 395 τὸ σοφὸν δ' οὐ σοφία, «cleverness is not wisdom»; io traduco «il sapere non è sapienza».
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