L’atto culminante della danza dionisiaca invernale era fare a pezzi e mangiare la carne cruda di un animale, σπαραγμός e ὠμοφαγία. Ciò è menzionato nelle norme del culto dionisiaco a Mileto (276 a.C.), ed è attestato da Plutarco e da altri. Nelle Baccanti lo σπαραγμός, prima del bestiame Tebano (vv. 734 sqq.) e poi di Penteo (vv. 1125 sqq.), è descritto con un compiacimento che il lettore moderno ha difficoltà a condividere. Una dettagliata descrizione della ὠμοφαγία sarebbe forse stata eccessiva per lo stomaco persino del pubblico ateniese; Euripide ne parla due volte, in Baccanti, v. 138 e Cretesi, fr. 472, ma in entrambi i passi sorvola di sfuggita e con discrezione. È difficile immaginare lo stato psicologico da lui descritto con le due parole ὠμοφάγον χάριν1, ma è notevole che i giorni stabiliti per la ὠμοφαγία fossero “giorni neri e nefasti”;2 e pare che coloro che praticano un simile rito ai nostri giorni, sperimentino in esso un misto di esaltazione suprema e di repulsione suprema: è al tempo stesso cosa sacra e orribile, appagamento e impurità, sacramento e contaminazione – lo stesso violento conflitto di disposizioni emotive che corre per tutte le Baccanti e che si trova alle radici di tutte le religioni di tipo dionisiaco.
1 [N.d.T.] Baccanti, v. 139: «gioia crudivora».
2 Plutarco, De defectu oraculorum, 14, 417c: ἡμέρας ἀποφράδας καὶ σκυθρωπάς, ἐν αἷς ὠμοφαγίαι καὶ διασπασμοὶ, «nei giorni nefasti e luttuosi, nei quali (si verificano) smembramenti e divoramenti di carne cruda».
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