(b) Non dobbiamo però saltare alla conclusione che Euripide guardò a Afrodite e Dioniso come demóni o come finzioni. A una tale interpretazione delle Baccanti un fatale ostacolo è la caratterizzazione di Penteo. Se il culto dionisiaco è una superstizione immorale e niente più, segue che Penteo è uno dei martiri dell’illuminismo. Ma è molto più facile denigrare Dioniso che riabilitare Penteo. Alcuni critici razionalisti hanno tentato questa seconda impresa, ma ci vuole proprio una visione ottusa per scoprire in lui “il difensore della fede coniugale”, “un personaggio uniformemente simpatico”. Euripide avrebbe plausibilmente potuto rappresentarlo così; egli avrebbe potuto sicuramente fare di lui un secondo Ippolito, fanatico, ma di un fanatismo toccante ed eroico. Egli non ha scelto di farlo così. E infatti gli ha conferito i tratti di un tipico tiranno da tragedia: mancanza di autocontrollo (vv. 214, 343 sqq., 620 sq., 670 sq.); inclinazione a credere il peggio sulla base del sentito dire (221 sqq.) o senza prove (255 sqq.); brutalità nei confronti degli inermi (231, 241, 511 sqq., 796 sq.); e una stolta fiducia nella forza fisica come mezzo per risolvere problemi spirituali (781-786 n.). In aggiunta il poeta gli ha dato il dissennato orgoglio razziale di una Ermione (483-484 n.) e la curiosità sessuale di un voyeur (222-223 n., 957-960 n.) Non è così che si rappresentano i martiri dell’illuminismo. Né tali martiri in punto di morte ritrattano la loro fede come fa Penteo (1120 sq.).
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