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iv. Elementi formali
Abbiamo così considerato da lontano solo il contenuto delle Baccanti. Quando esaminiamo la forma, siamo subito colpiti dall’aspetto arcaico che questo dramma molto tardo presenta. In ciò non è unico: una certa tendenza arcaizzante fa mostra di sé qua e là in tutta la produzione più tarda di Euripide. Ma le Baccanti portano l’arcaismo più avanti di qualsiasi altro dei suoi drammi; Murray addirittura lo definisce “il più formalista dramma greco da noi conosciuto”1.
In una certa misura ciò è dettato dalla trama. Qui per una volta Euripide aveva un coro la cui presenza non aveva bisogno di difesa e le cui sorti personali erano intimamente legate all’azione: possono così συναγωνίζεσθαι nella maniera approvata da Aristotele (Poetica, 1456a25)2, e per un’estensione che è insolita sia in Euripide sia nei drammi superstiti di Sofocle. Quindi non c’era bisogno di ridurre la sua parte o di sostituire alcuno dei suoi canti con assolo degli attori (μονῳδίαι)3. Per di più, la rappresentazione di un’azione miracolosa, a meno che il produttore non disponga delle risorse di Drury Lane4, impone un uso esteso della narrazione. Il poeta ha inserito un miracolo psicologico al centro dell’azione scenica5; però il miracolo fisico doveva essere riferito. E così le Baccanti ritornano al modello drammatico più arcaico: non solo ci sono due discorsi del messaggero formali, ciascuno lungo più di 100 versi, ma abbiamo in aggiunta la narrazione del soldato (vv. 434-450) e quella dello straniero (vv. 617-637); tutti e quattro descrivono eventi miracolosi che non avrebbero potuto essere mostrati sul palcoscenico.
Ma è significativo che anche nell’espressione e nello stile il dramma ritorni a una maniera più arcaica. Un recente ricercatore continentale trova più forme arcaiche nelle Baccanti che in ogni altro dramma di Euripide, e meno forme colloquiali o prosastiche che qualsiasi cosa egli abbia scritto fino alle Troiane6. C’è, è vero, un’insolitamente alta percentuale di “nuove” parole, cioè parole che non si trovano in altri scrittori precedenti7. Ma poche di queste sembrano essere prese dalla parlata contemporanea: alcune di esse appartengono al linguaggio della religione dionisiaca, come θιασώτης o καταβακχιοῦσθαι: altre sono raffinatezze dell’espressione poetica, come χρυσορόης o σκιαρόκομος. C’è una considerevole componente eschilea nel vocabolario, e alcune eco inconsce di frasi eschilee sono state notate (probabilmente ne troveremmo di più se i drammi dionisiaci di Eschilo si fossero conservati). Il solenne stile semi-liturgico che è predominante nei canti corali spesso richiama Eschilo; c’è un po’ della preziosità e della cura barocca nell’elemento decorativo che caratterizza la maggior parte dei versi più tardi di Euripide. In accordo con questa tonalità è la scelta di ritmi associati agli effettivi inni del culto (commento, p. 183), e specialmente l’uso esteso di ionici (p. 72). Così anche l’esordio dei ritornelli (876 sqq., 991 sqq.), che appartengono alla tradizione degli inni del culto: è degno di nota che Eschilo li usi liberamente, Sofocle per niente, Euripide altrove solo nell’inno di Ione ad Apollo e nel canto di trasporto dell’acqua di Elettra. I trimetri giambici rivelano la data del dramma con l’alta percentuale di piedi soluti (uno ogni 2,3 trimetri, una frequenza superata solo nell’Oreste); ma il dialogo ha, ciò non di meno, una certa arcaica rigidità se confrontato, per esempio, con la contemporanea Ifigenia in Aulide. Un segno di ciò è la rarità nei passi recitati dell’ἀντιλαβή (divisione di un verso tra due che parlano). In altri drammi tardi questo è un mezzo prediletto8 per trasmettere il concitato batti e ribatti di un’accesa discussione, specialmente nelle scene trocaiche; nelle Baccanti i versi giambici sono divisi solo in due punti (vv. 189, 966-70), quelli trocaici mai.
Questa severità di forma sembra essere voluta: va al di là di ciò a cui i condizionamenti del teatro costringevano. E in effetti il tremendo potere del dramma sorge in parte dalla tensione tra il classico formalismo del suo stile e della sua struttura e la strana esperienza religiosa che rappresenta. Come Coleridge disse, l’immaginazione creativa si manifesta nel modo più intenso nell’ “equilibrio o riconciliazione delle opposte o discordanti qualità”, e specialmente nel combinare uno stato emotivo più che inconsueto con un ordine più che consueto”. Nelle Baccanti si è realizzata una combinazione di questo genere.
1 Euripides and His Age, p. 184. [N.d.T.] p. 122 nella traduzione di Nina Ruffini, Bari, Laterza, 1932.
2 [N.d.T.] καὶ τὸν χορὸν δὲ ἕνα δεῖ ὑπολαμβάνειν τῶν ὑποκριτῶν, καὶ μόριον εἶναι τοῦ ὅλου καὶ συναγωνίζεσθαι μὴ ὥσπερ Εὐριπίδῃ ἀλλ' ὥσπερ Σοφοκλεῖ, «E bisogna considerare il coro come uno degli attori, e che sia una parte dell’insieme e che partecipi all’azione, non come per Euripide ma come per Sofocle».
3 Sembra verosimile che i lunghi assolo, esagerati in drammi come l’Oreste e non più una novità, avessero cominciato ad annoiare il pubblico (cfr. Aristofane, Rane, 849, 1329 sqq.). Sicché il contemporaneo Edipo a Colono mostra un simile ritorno alla pratica più antica rispetto al Filottete ([N.d.T.] del 409 a.C.).
4 [N.d.T.] Strada di Londra che dà il nome al famoso Theatre Royale Drury Lane fin dal XVII secolo; evidentemente disponeva di risorse regali.
5 Vedi nota all’episodio 3 (c), p. 172.
6 J. Smereka, Studia Euripidea (Lwow, 1936), p. 117. [N.d.T.] Rappresentate nel 415 a.C.: cioè si tratta di una tragedia tarda.
7 Ibidem 241.
8 52 versi recitati sono così divisi nell’Oreste, 36 nell’Ifigenia in Aulide, 53 nell’Edipo a Colono.
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