Piuttosto stranamente, pare che editori che erano buoni cristiani siano stati gratificati da questa idea della conversione in extremis del loro poeta all’ortodossia pagana; e questa, o qualcosa di simile, rimase l’opinione prevalente fino alla fine del diciannovesimo secolo1. In questo periodo sorse una generazione che, avendo tutta una serie differente di pregiudizi, ammirò Euripide per tutt’altre ragioni e cercò di rendere le Baccanti conformi alle proprie vedute con una radicale reinterpretazione. Sottolineando correttamente che Cadmo e Tiresia sono mediocri rappresentanti dell’ortodossia e che Dioniso si comporta con spietata crudeltà non solo contro i suoi oppositori, Penteo e Agave, ma anche con il suo sostenitore Cadmo, essi conclusero che la morale vera della tragedia fosse tantum religio potuit suadere malorum2. Tale interpretazione, il cui germe appare già in Patin, fu sviluppata nell’ultima decade del secolo da Wilamowitz e Bruhn in Germania, da Decharme e Weil in Francia; e più tardi (con elaborazioni fantasiose loro proprie) da Norwood e Verrall in Inghilterra. La devota sincerità dei canti corali, per questi critici un affronto e un ostacolo, fu spiegata in vari modi come una concessione al superstizioso pubblico macedone (Weil), o come una riuscita caratterizzazione di fanatismo (Wilamowitz).
1 [N.d.T.] Tale è l’opinione di Nietzsche nella Nascita della tragedia, cap. 12: «Eliminare dalla tragedia quell’elemento dionisiaco originario e onnipotente, ed edificarla in modo puro e a nuovo su un’arte, un costume e una concezione del mondo non dionisiaci – è questa la tendenza di Euripide, che ci si svela ora in chiara luce.
Nella sera della sua vita Euripide stesso presentò ai suoi contemporanei nel modo più incisivo, con un mito, la questione del valore e del significato di questa tendenza. Deve in genere sussistere il dionisiaco? Non è da estirpare a forza dalla terra ellenica? Certo, ci dice il poeta, purché fosse possibile; ma il dio Dioniso è troppo potente: l'avversario più avveduto – come Penteo nelle Baccanti – viene insospettatamente incantato da lui e con questo incantesimo corre poi incontro al suo destino. Il giudizio dei due vecchi Cadmo e Tiresia sembra essere anche il giudizio del vecchio poeta: la riflessione degli individui più accorti non riesce a rovesciare quelle antiche tradizioni popolari, quella venerazione di Dioniso che eternamente si propaga, anzi di fronte a tali forze miracolose conviene mostrare almeno una partecipazione diplomaticamente prudente: con ciò comunque è ancora possibile che il dio si scandalizzi di un interessamento così tiepido e trasformi infine il diplomatico – come qui Cadmo – in un drago. Questo ci dice un poeta che con forza eroica si è opposto per tutta una lunga vita a Dioniso – al fine di chiudere la sua carriera, quando la vita è al termine, con una glorificazione del suo avversario e il proprio suicidio, simile a uno che sia preso dalle vertigini e che, solo per sfuggire all’orribile e non più tollerabile turbamento, si precipiti da una torre. Quella tragedia è una sconfessione della possibilità di realizzare la sua tendenza, ma ahimè! essa era già stata realizzata! Il miracolo era accaduto: quando il poeta ritrattò, la sua tendenza aveva già vinto, Dioniso era già stato cacciato dalla scena tragica, cacciato da una potenza demonica che parlava per bocca di Euripide. Anche Euripide era in certo senso solo maschera: la divinità che parlava per sua bocca non era Dioniso e neanche Apollo, bensì un demone di recentissima nascita, chiamato Socrate. È questo il nuovo contrasto: il dionisiaco e il socratico, e l'opera d'arte della tragedia greca perì a causa di esso. Per quanto Euripide cerchi poi di consolarci con la sua ritrattazione, non ci riesce: il più magnifico dei templi giace in rovina; a che ci giova il lamento del distruttore e la sua confessione che quello era stato il più bello di tutti i templi? E anche se Euripide è stato per punizione trasformato in drago dai giudici d’arte di tutti i tempi – chi potrebbe essere soddisfatto di questo miserabile compenso?».
2 [N.d.T.] Lucrezio, De rerum natura, I, 101, «A così grandi mali poté indurre la religione!».
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