Tiresia, Cadmo e poi Penteo.
Vediamo come Dodds introduce l’episodio.
La funzione è quella di preparare lo scontro tra Dioniso e Penteo con una presentazione separata dei due personaggi. La tecnica è tipica della drammaturgia antica e la troviamo ben eseguita per esempio nell’Antigone di Sofocle, nei due personaggi di Antigone e Creonte.
Il tema all’inizio del dialogo è quello del ringiovanimento dei due anziani. Euripide dà l’impressione di trattare il tema con una certa ironia. Se infatti i due vecchi si sentono tutti pieni di forza, ciò dovrebbe essere la conseguenza di una pienezza di fede; ma almeno Cadmo non ha questa pienezza di fede bensì presenta una certa mondanità: il suo vero credo è la solidarietà familiare e infatti sarebbe conveniente, dice, per la reputazione della famiglia se si sapesse che ha un membro divino (vv. 335 sqq.).
Quanto a Tiresia è chiaro che difende una diversa nozione della religione dionisiaca rispetto a quella presentata dal coro nella parodo. Per lui Dioniso non è il mistico dio bestiale dell’ὠμοφαγία ma un’astrazione – una personificazione del vino come Demetra lo è del pane (vv. 274-285); inoltre fornisce una spiegazione del fondamentale mistero della doppia nascita con una fantasiosa etimologia a proposito di “ostaggio” (vv. 285-297), che in seguito il coro mostra di ignorare (vv. 523 sqq.). Appare come un uomo del quinto secolo, un intellettuale di quelli che hanno letto Protagora e Prodico1 (vedi vv. 201-203 e 274-285). Non dobbiamo prendere le opinioni di Tiresia come quelle di Euripide, il quale si è preso sempre gioco degli indovini e sembra inverosimile che qui abbia preso un indovino come portavoce. È più probabile che rappresenti il punto di vista del clero delfico, per il quale Euripide non mostra in genere troppa simpatia: egli predice che Delfi accetterà Dioniso (vv. 306 sqq.) e il corifeo si congratula con lui per essere diventato dionisiaco senza cessare di essere apollineo (vv. 328 sqq.). In altri termini, è il tipo di mente che vorrebbe mettere le briglie di un conservatorismo dottrinale alle spontanee forze emotive generate da un risveglio religioso: egli non vorrebbe rifiutare i nuovi culti stranieri che stavano turbando l’Atene dei tempi di Euripide, vorrebbe invece ellenizzarli e razionalizzarli, come Delfi aveva ellenizzato e razionalizzato lo straniero Dioniso.
1 Due tra i più importanti sofisti della prima generazione. Il primo teorizzava il relativismo culturale: sosteneva infatti (come troviamo scritto da Platone in Teeteto, 151e-152a, fr. 80 B1 D-K) che “πάντων χρημάτων μέτρον” ἄνθρωπον εἶναι, “τῶν μὲν ὄντων ὡς ἔστι, τῶν δὲ μὴ ὄντων ὡς οὐκ ἔστιν”, «“di tutte le cose misura” è l’uomo, “di quelle che sono in quanto sono, di quelle che non sono in quanto non sono”». Al relativismo di Protagora risponde Platone nelle Leggi, 716c: ὁ δὴ θεὸς ἡμῖν πάντων χρημάτων μέτρον ἂν εἴη μάλιστα, καὶ πολὺ μᾶλλον ἤ πού τις, ὥς φασιν, ἄνθρωπος, «il dio dovrebbe essere massimamente per noi misura di tutte le cose, e molto di più di un uomo, come dicono». Prodico era famoso per i suoi studi sulla lingua.
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