ὦ Σεμέλας τροφοὶ Θῆ- 105
βαι, στεφανοῦσθε κισσῷ·
βρύετε βρύετε χλοήρει
μίλακι καλλικάρπῳ
καὶ καταβακχιοῦσθε δρυὸς
ἢ ἐλάτας κλάδοισι, 110
στικτῶν τ' ἐνδυτὰ νεβρίδων
στέφετε λευκοτρίχων πλοκάμων
μαλλοῖς· ἀμφὶ δὲ νάρθηκας ὑβριστὰς
ὁσιοῦσθ'· αὐτίκα γᾶ πᾶσα χορεύσει,
– Βρόμιος ὅστις ἄγῃ θιάσους – 115
εἰς ὄρος εἰς ὄρος, ἔνθα μένει
θηλυγενὴς ὄχλος
ἀφ' ἱστῶν παρὰ κερκίδων τ'
οἰστρηθεὶς Διονύσῳ.1
1 105-119: «O Tebe, nutrice di Semele, / incoronati di edera; abbonda abbonda del verde / smilace dai bei frutti / e abbandonati al furore bacchico con rami / di quercia o abete, / e le vesti di nebridi screziate / incorona con ciocche di riccioli / dal bianco pelo; e intorno ai bastoni violenti / santificati; subito la terra tutta danzerà, / – Bromio è chiunque guidi i tiasi – / al monte al monte, dove aspetta / la folla femminile / via da telai e lontano da spole / assillata furiosamente da Dioniso».
107 – βρύετε βρύετε: la ripetizione di parole è caratteristica dello stile lirico dell’ultimo Euripide (cfr. la parodia di Aristofane in Rane, 1352-1355: Ὁ δ' ἀνέπτατ' ἀνέπτατ' ἐξ αἰθέρα / κουφοτάταις πτερύγων ἀκμαῖς, / ἐμοὶ δ' ἄχε' ἄχεα κατέλιπε, / δάκρυα δάκρυά τ' ἀπ' ὀμμάτων / ἔβαλον ἔβαλον ἁ τλάμων, «È volato volato in cielo / sulle punte leggerissime delle ali, / e mi ha lasciato dolori dolori, / lacrime lacrime dagli occhi / gettai gettai infelice»; si tratta di Eschilo che fa il verso ai cori di Euripide). Tuttavia la maggior parte delle volte (vv. 68, 83, 107, 116, 152, 165, 370, 412, 577 sq., 582, 584, 595, 986, 1183, 1198) sembra che si tratti di grida rituali o della naturale espressione di esaltazione religiosa.
108 – μίλακι: si tratta dello smilax aspera, una pianta rampicante sempreverde (χλοήρει) con grappoli di fiori bianchi e bacche di uno scarlatto intenso (καλλικάρπῳ).
109-110 – δρυὸς ἢ ἐλάτας: querce e abeti sono alberi tipici del Citerone come di molti boschi greci; però ci può essere una ragione rituale per la loro frequente apparizione nelle Baccanti. C’era un θίασος di Dioniso δρυοφόρος a Filippi, in Macedonia, vicino al monte Pangeo, una delle patrie d’origine del culto.
111 – νεβρίδων: sulla nebride, vedi nota al v. 24.
113-114 – ἀμφὶ … ὁσιοῦσθ’: la frase sembra significare di essere pii nel maneggiare i bastoni violenti. La sorprendente associazione di ὁσιότης e ὕβρις esprime la dualità del rituale dionisiaco come un atto di violenza controllata in cui le pericolose forze della natura sono sottomesse a uno scopo religioso. Il tirso è il veicolo di queste forze; il suo tocco può operare prodigi benefici (vv. 704 sqq.), ma può anche causare pazzia. Sulla forma del tirso vedi nota al v. 25.
114 – γᾶ πᾶσα: cioè tutto il popolo, in contrapposizione a θηλυγενὴς ὄχλος del v. 117.
115 – Cioè: chi guida l’ὀρειβασία è identificato nella cerimonia sacra con il dio: cfr. v. 141 ὁ δ' ἔξαρχος Βρόμιος. Sappiamo pochissimo dell’organizzazione delle ὀρειβασίαι come effettivamente si svolgevano, ma le testimonianze che abbiamo si accordano con l’idea che fossero originariamente un rito femminile con un solo maschio a celebrarlo. Se il celebrante era identificato col dio, allora possiamo capire perché così il dio come i devoti fossero chiamati con l’appellativo di ταυρόφαγος (Sofocle, fr. 668); perché Diodoro (IV, 3) parla di un’ “epifania” di Dioniso alla τριετηρίς. Un certo grado di identificazione con il dio sembra essere implicito nel chiamare i partecipanti al rito dionisiaco βάκχαι e βάκχος (Penteo chiama lo straniero ὁ βάκχος al v. 491). È possibile che il grado supremo di questa identificazione, aperto solamente all’ ἔξαρχος, fosse espresso dandogli il sacro nome di Bromio (o, se no, che almeno Euripide la pensasse così). L’organizzazione potremmo immaginarcela come una congrega di streghe, dove l’unico maschio alla guida era conosciuto da quella congregazione come il diavolo.
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