domenica 15 settembre 2024

Platone, «MITO DELLA CAVERNA» – 4° parte – traduzione

515e-516b


  [e] οὐκοῦν κἂν εἰ πρὸς αὐτὸ τὸ φῶς ἀναγκάζοι αὐτὸν βλέπειν, ἀλγεῖν τε ἂν τὰ ὄμματα καὶ φεύγειν ἀποστρεφόμενον πρὸς ἐκεῖνα ἃ δύναται καθορᾶν, καὶ νομίζειν ταῦτα τῷ ὄντι σαφέστερα τῶν δεικνυμένων; «E se dunque lo costringesse a guardare verso la luce stessa, (non credi che) soffrirebbe negli occhi e la fuggirebbe girandosi verso quelle cose che riusciva a scorgere e riterrebbe queste realmente più chiare di quelle indicate?»

  οὕτως, ἔφη. «Così è, disse».

  εἰ δέ, ἦν δ᾽ ἐγώ, ἐντεῦθεν ἕλκοι τις αὐτὸν βίᾳ διὰ τραχείας τῆς ἀναβάσεως καὶ ἀνάντους, καὶ μὴ ἀνείη πρὶν ἐξελκύσειεν εἰς τὸ τοῦ ἡλίου φῶς, «Ma se, dissi io, uno lo trascinasse via da là a forza attraverso una salita aspra e ripida, e non lo lasciasse prima di averlo trascinato alla luce del sole»,

  ἆρα οὐχὶ ὀδυνᾶσθαί τε [516] [a] ἂν καὶ ἀγανακτεῖν ἑλκόμενον, καὶ ἐπειδὴ πρὸς τὸ φῶς ἔλθοι, αὐγῆς ἂν ἔχοντα τὰ ὄμματα μεστὰ ὁρᾶν οὐδ᾽ ἂν ἓν δύνασθαι τῶν νῦν λεγομένων ἀληθῶν; «allora (non credi che) soffrirebbe e si adirerebbe di essere trascinato, e dopo che fosse giunto alla luce, avendo gli occhi pieni di bagliore non sarebbe capace vi vedere nemmeno una delle cose che ora sono dette vere?»

  οὐ γὰρ ἄν, ἔφη, ἐξαίφνης γε. «Non (riuscirebbe) infatti, disse, almeno su momento».

  συνηθείας δὴ οἶμαι δέοιτ᾽ ἄν, εἰ μέλλοι τὰ ἄνω ὄψεσθαι. «Certo, io credo, avrebbe bisogno di abituarsi (abitudine), se avesse intenzione di vedere le cose in alto».

  καὶ πρῶτον μὲν τὰς σκιὰς ἂν ῥᾷστα καθορῷ, καὶ μετὰ τοῦτο ἐν τοῖς ὕδασι τά τε τῶν ἀνθρώπων καὶ τὰ τῶν ἄλλων εἴδωλα, ὕστερον δὲ αὐτά: «E dapprima scorgerebbe nel modo più facile le ombre, e dopo questo le immagini degli uomini e quelle delle altre cose (riflesse) nelle acque, poi quelle stesse (cioè le cose stesse, non le immagini riflesse):»

  ἐκ δὲ τούτων τὰ ἐν τῷ οὐρανῷ καὶ αὐτὸν τὸν οὐρανὸν νύκτωρ ἂν ῥᾷον θεάσαιτο, προσβλέπων τὸ τῶν [b] ἄστρων τε καὶ σελήνης φῶς, ἢ μεθ᾽ ἡμέραν τὸν ἥλιόν τε καὶ τὸ τοῦ ἡλίου. «a partire da queste poi potrebbe osservare più facilmente le cose nel cielo e il cielo stesso di notte, guardando la luce delle stelle e della luna, invece che di giorno il sole e la luce del sole».

  πῶς δ᾽ οὔ; «Come no?»

  τελευταῖον δὴ οἶμαι τὸν ἥλιον, οὐκ ἐν ὕδασιν οὐδ᾽ ἐν ἀλλοτρίᾳ ἕδρᾳ φαντάσματα αὐτοῦ, ἀλλ᾽ αὐτὸν καθ᾽ αὑτὸν ἐν τῇ αὑτοῦ χώρᾳ δύναιτ᾽ ἂν κατιδεῖν καὶ θεάσασθαι οἷός ἐστιν. «Per ultimo poi, credo, il sole, non le sue immagini nelle acque né in altra sede, ma esso per se stesso nel suo proprio luogo sarebbe capace di scorgerlo e osservare quale è».

  ἀναγκαῖον, ἔφη. «Necessario (è), disse».

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