All’inizio del poema De rerum natura1, nel primo libro, subito dopo l’invocazione a Venere, il poeta Lucrezio descive Epicuro come un eroe che per primo ha osato ribellarsi e liberare gli esseri umani dall’oppressione:
vv. 62-67
Humana ante oculos foede cum vita iaceret 62
in terris oppressa gravi sub religione,
quae caput a caeli regionibus ostendebat
horribili super aspectu mortalibus instans, 65
primum Graius homo mortalis tollere contra
est oculos ausus primusque obsistere contra.
«Quando la vita umana giaceva, scena turpe a vedersi, / sulla terra schiacciata dal peso della religione, / la quale mostrava il capo dalle regioni del cielo / incombendo dall’alto sui mortali con aspetto raccapricciante, / per la prima volta un uomo Greco osò / sollevarle contro gli occhi mortali e per primo contrapporsi».
Epicuro dunque con la ragione smonta a una a una tutte le false credenze:
vv. 78-79
quare religio pedibus subiecta vicissim
obteritur, nos exaequat victoria caelo.
«Perciò la religione a sua volta schiacciata sotto i piedi / è calpestata, e la vittoria ci eguaglia al cielo».
Segue quindi l’esempio, tratto dal mito, del sacrificio di Ifigenia preteso da Artemide:
vv. 80-101
Illud in his rebus vereor, ne forte rearis 80
impia te rationis inire elementa viamque
indugredi sceleris. Quod contra saepius illa
religio peperit scelerosa atque impia facta.
«Ciò io temo in queste cose, che per caso tu pensi / di addentrarti agli empi / principi della ragione e di intraprendere / la via del male. Poiché al contrario più spesso la religione / ha partorito quei crimini e quelle empietà».
Aulide quo pacto Triviai virginis aram
Iphianassai turparunt sanguine foede 85
ductores Danaum delecti, prima virorum.
«In questo modo in Aulide l’ara della vergine Trivia2 / contaminarono turpemente con il sangue di Ifigenia / i condottieri scelti dei Danai, il fio fiore degli eroi».
cui simul infula virgineos circum data comptus
ex utraque pari malarum parte profusast,
et maestum simul ante aras adstare parentem
sensit et hunc propter ferrum celare ministros 90
aspectuque suo lacrimas effundere civis,
muta metu terram genibus summissa petebat.
«E non appena la benda che le avvolgeva le virginee chiome / ugualmente dall’una e dall’altra parte delle gote scivolò giù, / e non appena si accorse che il padre stava in piedi triste davanti all’ara / e che presso di lui i sacerdoti nascondevano la spada / e che alla sua vista i cittadini non trattenevano le lacrime, / muta per la paura accasciatasi cadeva a terra con le ginocchia».
nec miserae prodesse in tali tempore quibat,
quod patrio princeps donarat nomine regem;
«Né all’infelice poteva giovare in tale circostanza, / il fatto di aver donate per prima al re il nome di padre3;»
nam sublata virum manibus tremibundaque ad aras 95
deductast, non ut sollemni more sacrorum
perfecto posset claro comitari Hymenaeo,
«Infatti fu sollevata dalle mani degli eroi e tutta tremante fu condotta / alle are, non affinché, una volta compiuto il solenne rito sacro, / potesse essere accompagnata allo splendente Imeneo,»
sed casta inceste nubendi tempore in ipso
hostia concideret mactatu maesta parentis,
exitus ut classi felix faustusque daretur. 100
«ma affinché impuramente pura proprio nel momento di sposarsi / cadesse vittima triste immolata dal padre, / perché alla flotta fosse concessa una fausta e fortunata partenza».
tantum religio potuit suadere malorum.
«A così grandi mali poté indurre la religione!»
1 Sulla natura delle cose; fu pubblicato da Cicerone dopo la morte del poeta, avvenuta verosimilmente nel 55 a.C.; la nascita sarebbe da collocare nel 98 a.C.
2 Epiteto di Diana (per i Greci Artemide), dea dei trivii.
3 Elemento patetico accentuato dal riferimento all’infanzia; anche Virgilio indulge all’elemento patetico associato all’infanzia. Quando Didone cerca di dissuadere Enea dall’abbandonarla conclude il suo disperato tentativo con queste parole (Eneide, IV, vv. 327-330): saltem si qua mihi de te suscepta fuisset / ante fugam suboles, si quis mihi parvulus aula / luderet Aeneas, qui te tamen ore / referret,non equidem omnino capta ac deserta viderer, «Se almeno mi fosse nata da te una qualche prole prima della fuga, se mi giocasse per il cortile un piccolo Enea, che tuttaviati rievocasse nel viso, senza dubbio non mi sentirei del tutto ingannata e abbandonata».
Nel riferimento alla mancata maternità, Didone raggiunge il massimo del pathos, accentuato oltretutto dall'uso del diminutivo, normalmente rifiutato dallo stile epico.
Un autore greco che accentua l’elemento patetico e, non casualmente, è il preferito in età ellenistica e da Virgilio, è Euripide; questi versi delle Troiane (749-765), pronunciati da Andromaca dopo aver appreso da Taltibio che il figlio verrà ucciso, sono emblematici: ὦ παῖ, δακρύεις· αἰσθάνῃ κακῶν σέθεν; / τί μου δέδραξαι χερσὶ κἀντέχῃ πέπλων, / νεοσσὸς ὡσεὶ πτέρυγας ἐσπίτνων ἐμάς; / οὐκ εἶσιν Ἕκτωρ κλεινὸν ἁρπάσας δόρυ / γῆς ἐξανελθὼν σοὶ φέρων σωτηρίαν, / οὐ συγγένεια πατρός, οὐκ ἰσχὺς Φρυγῶν· / λυγρὸν δὲ πήδημ’ ἐς τράχηλον ὑψόθεν / πεσὼν ἀνοίκτως, πνεῦμ’ ἀπορρήξεις σέθεν. / ὦ νέον ὑπαγκάλισμα μητρὶ φίλτατον, / ὦ χρωτὸς ἡδὺ πνεῦμα· διὰ κενῆς ἄρα / ἐν σπαργάνοις σε μαστὸς ἐξέθρεψ’ ὅδε, / μάτην δ’ ἐμόχθουν καὶ κατεξάνθην πόνοις. / νῦν—οὔποτ’ αὖθις—μητέρ’ ἀσπάζου σέθεν, / πρόσπιτνε τὴν τεκοῦσαν, ἀμφὶ δ’ ὠλένας / ἕλισσ’ ἐμοῖς νώτοισι καὶ στόμ’ ἅρμοσον. / ὦ βάρβαρ’ ἐξευρόντες Ἕλληνες κακά, / τί τόνδε παῖδα κτείνετ’ οὐδὲν αἴτιον, «Oh figlio, tu piangi; ti rendi conto dei tuoi mali? / Perché mi hai afferrata con le mani e ti attacchi ai pepli, / come un pulcino rifugiandoti sotto le mie ali? / Non verrà Ettore dopo aver afferrato l’inclita lancia / uscito dalla terra a portarti salvezza, / non la nobiltà del padre, non la potenza dei Frigi; / invece caduto a precipizio con funesto balzo / dall’alto spietatamente, strapperai via il respiro. / Oh tenero abbraccio carissimo alla madre, / oh dolce respiro della carne; inutilmente dunque / in fasce ti nutrì quest / o seno,invano mi affannavo e mi consumai nelle pene. / Ora – non ci sarà mai più un’altra volta – abbraccia la tua mamma, / stringiti a chi ti ha partorito, avvolgi le braccia / intorno alle mie spalle e avvicina la bocca. / Oh Greci che avete inventato barbare atrocità, / perché uccidete questo bambino che non ha nessuna colpa?».
bravo Alessandro! Un abbraccio. gianni
RispondiEliminaGrazie Gianni! Un abbraccio anche a te
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