lunedì 16 settembre 2024

Platone, «MITO DELLA CAVERNA» – 6° parte – traduzione e piccolo commento

 516e-517a

Morte di Socrate, tela di Jacques-Louis David (Metropolitan Museum of Art, New York)

  καὶ τόδε δὴ ἐννόησον, ἦν δ᾽ ἐγώ. εἰ πάλιν ὁ τοιοῦτος καταβὰς εἰς τὸν αὐτὸν θᾶκον καθίζοιτο, ἆρ᾽ οὐ σκότους ἂν ἀνάπλεως σχοίη τοὺς ὀφθαλμούς, ἐξαίφνης ἥκων ἐκ τοῦ ἡλίου; «Ma rifletti anche su questo, dissi io. Se tale individuo ridisceso andasse a sedersi di nuovo sul medesimo seggio, non avrebbe forse gli occhi pieni di tenebra, giunto all’improvviso dal sole?»

  καὶ μάλα γ᾽, ἔφη. «Proprio così, disse».

  τὰς δὲ δὴ σκιὰς ἐκείνας πάλιν εἰ δέοι αὐτὸν γνωματεύοντα διαμιλλᾶσθαι τοῖς ἀεὶ δεσμώταις ἐκείνοις, ἐν ᾧ ἀμβλυώττει, [517] [a]  πρὶν καταστῆναι τὰ ὄμματα, οὗτος δ᾽ ὁ χρόνος μὴ πάνυ ὀλίγος εἴη τῆς συνηθείας, «se dunque dovesse fare a gara a distinguere di nuovo le ombre con quelli da sempre prigionieri, cosa in cui è debole di vista prima che gli occhi si siano risistemati, e questo tempo dell’assuefazione fosse non troppo poco»,

  ἆρ᾽ οὐ γέλωτ᾽ ἂν παράσχοι, καὶ λέγοιτο ἂν περὶ αὐτοῦ ὡς ἀναβὰς ἄνω διεφθαρμένος ἥκει τὰ ὄμματα, καὶ ὅτι οὐκ ἄξιον οὐδὲ πειρᾶσθαι ἄνω ἰέναι; «non provocherebbe forse una risata, e si direbbe di lui che risalito è giunto rovinato negli occhi, e che non vale la pena nemmeno provare di andare su?»

  καὶ τὸν ἐπιχειροῦντα λύειν τε καὶ ἀνάγειν, εἴ πως ἐν ταῖς χερσὶ δύναιντο λαβεῖν καὶ ἀποκτείνειν, ἀποκτεινύναι ἄν; «e colui che tentasse di liberarli e condurli su, se mai potessero prenderlo tra le mani e ucciderlo, non lo ucciderebbero?».

  σφόδρα γ᾽, ἔφη. «Assolutamente», «disse».


 È difficile non pensare alla sorte di Socrate, condannato a morte nel 399 a.C. dal tribunale ateniese per empietà e corruzione dei giovani – secondo Nietzsche giustamente perché aveva corrotto la tragedia in combutta con Euripide (La nascita della tragedia):

«Riconosciamo in Socrate l’avversario di Dioniso… e, benché destinato a essere dilaniato dalle Menadi del tribunale ateniese, costringe alla fuga lo stesso potentissimo dio» (cap. 12). 
«Che Socrate avesse uno stretto legame di tendenza con Euripide, non sfuggì all’antichità di quel tempo; e l’espressione più eloquente di questo fiuto felice è quella leggenda circolante ad Atene, secondo cui Socrate usava aiutare Euripide a poetare. Dai partigiani del «buon tempo antico» i due nomi venivano pronunciati assieme, quando si trattava di enumerare i presunti corruttori del popolo: dal loro influsso seguiva che l’antica e quadrata valentia di corpo e d’animo, degna di Maratona, fosse sempre più sacrificata a un dubbio razionalismo… in questo tono, mezzo di sdegno e mezzo di disprezzo, la commedia aristofanesca suole parlare di quegli uomini. [...] Socrate, come avversario dell’arte tragica, si asteneva dal frequentare la tragedia, mettendosi fra gli spettatori soltanto quando veniva rappresentato un nuovo dramma di Euripide» (cap. 13).

Continua...

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