lunedì 16 settembre 2024

Sapienza silenica – parte 1°


 

Il concetto di «sapienza silenica» risale a La nascita della tragedia di Nietzsche (del 1872); così ne parla al cap. 3:

Quale fu l’immenso bisogno da cui scaturì una così splendente società di esseri olimpici? […] Niente ricorda qui ascesi, spiritualità e dovere: qui parla a noi soltanto un’esistenza rigogliosa, anzi trionfante, in cui tutto ciò che esiste è divinizzato, non importa se sia buono o malvagio… di fronte a questa fantastica dovizia di vita […] con quale filtro magico in corpo questi uomini tracotanti potessero aver goduto la vita, al punto che , dovunque guardassero, rideva loro incontro Elena… «fluttuante in dolce sensualità». […] L'antica leggenda narra che il re Mida inseguì a lungo nella foresta il saggio Sileno, seguace di Dioniso, senza prenderlo. Quando quello gli cadde infine fra le mani, il re domandò quale fosse la cosa migliore e più desiderabile per l'uomo. Rigido e immobile, il demone tace; finché, costretto dal re, esce da ultimo fra stridule risa in queste parole: 'Stirpe miserabile ed effimera, figlio del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è – morire presto’[…] Il Greco conobbe e sentì i terrori e le atrocità dell’esistenza: per poter comunque vivere, egli dové porre davanti a tutto ciò la splendida nascita sognata degli dèi olimpici. L’enorme diffidenza verso le forze titaniche della natura […] insomma tutta la filosofia del dio silvestre con i suoi esempi mitici, per la quale perirono i melanconici Etruschi – fu dai Greci ogni volta superata, o comunque nascosta e sottratta alla vista, mediante quel mondo artistico intermedio degli dèi olimpici. Fu per poter vivere che i Greci dovettero, per profondissima necessità, creare questi dèi. […] quel popolo […] che aveva un talento così unico per il soffrire, come avrebbe potuto sopportare l’esistenza? […] Così gli dèi giustificano la vita umana vivendola essi stessi – la sola teodicea soddisfacente! L’esistenza sotto il chiaro sole di dèi simili viene sentita come ciò che è in sé desiderabile, e il vero dolore degli uomini omerici si riferisce al dipartirsi da essa, soprattutto al dipartirsene presto: sicché di loro si potrebbe poi dire, invertendo la saggezza silenica, «la cosa peggiore di tutte è per essi di morire presto, la cosa in secondo luogo peggiore è di morire comunque un giorno».  Se una volta risuona il lamento, ciò avviene per Achille dalla breve vita, per l’avvicendarsi e il mutare della stirpe umana come le foglie… Non è indegno neanche del più grande eroe bramare di vivere ancora, fosse pure come lavoratore a giornata. […] Nei Greci la «volontà» volle intuire se stessa nella trasfigurazione del genio e del mondo dell'arte; per glorificarsi le sue creature dovettero sentire se stesse come degne di glorificazione, dovettero rivedere se stesse in una sfera superiore, senza che questo mondo perfetto dell'intuizione agisse come imperativo o come rimprovero. Questa è la sfera della bellezza, dove essi videro le loro immagini in uno specchio, gli dèi olimpici. Con questo rispecchiamento di bellezza la «volontà» ellenica lottò contro il talento, correlativo a quello artistico, del dolore e della saggezza del dolore: e come monumento della sua vittoria ci sta innanzi Omero, l'artista ingenuo.

 La leggenda di Sileno si trova nelle Tusculanae di Cicerone (I, 47-48):

Deorum inmortalium iudicia solent in scholis proferre de morte, nec vero ea fingere ipsi, sed Herodoto auctore aliisque pluribus. Primum Argiae sacerdotis Cleobis et Bito filii praedicantur. Nota fabula est…Adfertur etiam de Sileno fabella quaedam: qui cum a Mida captus esset, hoc ei muneris pro sua missione dedisse scribitur: docuisse regem non nasci homini longe optimum esse, proximum autem quam primum mori.

 «Sono soliti nelle scuole proporre i giudizi degli dèi immortali sulla morte, e non li inventano però essi stessi, ma basandosi sull’autorità di Erodoto e altri. Innanzitutto sono celebrati Cleobi e Bitone, i figli della sacerdotessa Argia. La storia è nota […] Si adduce anche un raccontino su Sileno: si scrive che egli, dopo essere stato catturato da Mida, gli diede questa ricompensa in cambio della sua liberazione: insegnò al re che non nascere è per l’uomo la cosa di gran lunga migliore, la seconda poi morire il prima possibile».

 Il passo di Erodoto a cui fa riferimento l’Arpinate si trova in Storie, I, 32 e parla dei due ragazzi che tirarono il carro della madre fino al tempio per non farla arrivare in ritardo alla cerimonia; la madre chiese alla dea di ricompensare i figli con la cosa migliore che può essere donata ad un uomo:

ταῦτα δέ σφι ποιήσασι καὶ ὀφθεῖσι ὑπὸ τῆς πανηγύριος τελευτὴ τοῦ βίου ἀρίστη ἐπεγένετο, διέδεξέ τε ἐν τούτοισι ὁ θεὸς ὡς ἄμεινον εἴη ἀνθρώπῳ τεθνάναι μᾶλλον ἢ ζώειν, 
«a loro che avevano compiuto queste imprese e che erano stati visti dalla folla radunata capitò una fine della vita ottima, e il dio dimostrò in questi che è meglio per un uomo essere morto che vivere». Alla mattina furono trovati morti.

Come si può notare la sapienza silenica è una sensibilità radicata nella civiltà greca, come vedremo con altri esempi.

Continua... 

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