Κα.
ἐρεῖ τις ὡς τὸ γῆρας οὐκ αἰσχύνομαι,
μέλλων χορεύειν κρᾶτα κισσώσας ἐμόν; 205
Ca.
Qualcuno dirà che non onoro la vecchiaia,
accingendomi a danzare con il mio capo coronato d’edera?
Τε.
οὐ γὰρ διῄρηχ' ὁ θεὸς οὔτε τὸν νέον
εἰ χρὴ χορεύειν οὔτε τὸν γεραίτερον,
ἀλλ' ἐξ ἁπάντων βούλεται τιμὰς ἔχειν
κοινάς, διαριθμῶν δ' οὐδέν' αὔξεσθαι θέλει.
Ti.
Il dio infatti non ha distinto né il giovane,
se deve danzare, né quello più vecchio,
ma da tutti vuole avere onori
comuni, e vuole essere celebrato senza fare alcun conto.
Κα.
ἐπεὶ σὺ φέγγος, Τειρεσία, τόδ' οὐχ ὁρᾷς, 210
ἐγὼ προφήτης σοι λόγων γενήσομαι.
Ca.
Siccome tu, Tiresia, non vedi questa luce,
io diventerò per te proclamatore di notizie.
Πενθεὺς πρὸς οἴκους ὅδε διὰ σπουδῆς περᾷ,
Ἐχίονος παῖς, ᾧ κράτος δίδωμι γῆς.
ὡς ἐπτόηται· τί ποτ' ἐρεῖ νεώτερον;
Ecco Penteo che si dirige di fretta verso il palazzo,
il figlio di Echione, a cui ho dato il potere sulla regione.
Come è atterrito! cosa mai dirà di di nuovo?
ΠΕΝΘΕΥΣ
ἔκδημος ὢν μὲν τῆσδ' ἐτύγχανον χθονός, 215
κλύω δὲ νεοχμὰ τήνδ' ἀνὰ πτόλιν κακά,
γυναῖκας ἡμῖν δώματ' ἐκλελοιπέναι
πλασταῖσι βακχείαισιν, ἐν δὲ δασκίοις
ὄρεσι θοάζειν, τὸν νεωστὶ δαίμονα
Διόνυσον, ὅστις ἔστι, τιμώσας χοροῖς, 220
PENTEO
Mi trovavo ad essere fuori da questa terra,
e sento di nuovi mali che incombono su questa città,
che le donne ci hanno abbandonato le case1
per baccanali simulati, e che si precipitano
su monti ombrosi, onorando con danze
la divinità recente, Dioniso, chiunque sia,
πλήρεις δὲ θιάσοις ἐν μέσοισιν ἱστάναι
κρατῆρας, ἄλλην δ' ἄλλοσ' εἰς ἐρημίαν
πτώσσουσαν εὐναῖς ἀρσένων ὑπηρετεῖν,
πρόφασιν μὲν ὡς δὴ μαινάδας θυοσκόους,
τὴν δ' Ἀφροδίτην πρόσθ' ἄγειν τοῦ Βακχίου. 225
che pieni stanno in mezzo ai tiasi
i crateri, e che una qua una andando a nascondersi
in un luogo appartato prestano servizio ai letti dei maschi,
con il pretesto che sono menadi addette ai sacrifici,
solo che mettono Afrodite davanti a Bacco.
1 Un’idea della condizione della donna ad Atene (e di come Penteo possa rappresentare il maschio comune) emerge dai vv. 230-251 della Medea, in cui la protagonista, rivolgendosi alle donne di Corinto, così si esprime: πάντων δ' ὅσ' ἔστ' ἔμψυχα καὶ γνώμην ἔχει / γυναῖκές ἐσμεν ἀθλιώτατον φυτόν· / ἃς πρῶτα μὲν δεῖ χρημάτων ὑπερβολῇ / πόσιν πρίασθαι δεσπότην τε σώματος / λαβεῖν· κακοῦ γὰρ τοῦτ' ἔτ' ἄλγιον κακόν. / κἀν τῷδ' ἀγὼν μέγιστος, ἢ κακὸν λαβεῖν / ἢ χρηστόν· οὐ γὰρ εὐκλεεῖς ἀπαλλαγαὶ / γυναιξὶν οὐδ' οἷόν τ' ἀνήνασθαι πόσιν. / ἐς καινὰ δ' ἤθη καὶ νόμους ἀφιγμένην / δεῖ μάντιν εἶναι, μὴ μαθοῦσαν οἴκοθεν, / οἵῳ μάλιστα χρήσεται ξυνευνέτῃ. / κἂν μὲν τάδ' ἡμῖν ἐκπονουμέναισιν εὖ / πόσις ξυνοικῇ μὴ βίᾳ φέρων ζυγόν, / ζηλωτὸς αἰών· εἰ δὲ μή, θανεῖν χρεών. / ἀνὴρ δ', ὅταν τοῖς ἔνδον ἄχθηται ξυνών, / ἔξω μολὼν ἔπαυσε καρδίαν ἄσης /[ἢ πρὸς φίλον τιν' ἢ πρὸς ἥλικα τραπείς]· / ἡμῖν δ' ἀνάγκη πρὸς μίαν ψυχὴν βλέπειν. / λέγουσι δ' ἡμᾶς ὡς ἀκίνδυνον βίον / ζῶμεν κατ' οἴκους, οἱ δὲ μάρνανται δορί, / κακῶς φρονοῦντες· ὡς τρὶς ἂν παρ' ἀσπίδα / στῆναι θέλοιμ' ἂν μᾶλλον ἢ τεκεῖν ἅπαξ, «Tra tutte le cose quante sono animate e hanno senno / noi donne siamo la creatura più misera: / per prima cosa con una quantità esagerata di denaro dobbiamo / comprarci uno sposo e prenderlo come padrone / del corpo; e questo è un male ancora più doloroso del male. / E in questo (consiste) la gara più grande, prenderlo cattivo / o buono. Non procurano buona reputazione le separazioni / alle donne, e non è possibile ripudiare un marito. / Poi giunta in nuovi costumi e leggi / bisogna che sia un’indovina, se non lo ha appreso da casa, /(per sapere) di chi si avvarrà soprattutto come marito. / E se con noi che ci sforziamo in questo con successo / il marito convive sopportando il giogo non per forza, / allora la vita è invidiabile; se no, bisogna morire. / Un uomo, invece, qualora fosse oppresso dalla convivenza con quelli di casa, / andato fuori fa cessare la noia dal cuore, /[volgendosi ad un amico o a dei coetanei]; / per noi invece è necessario puntare su una sola persona. / Dicono di noi che viviamo una vita / priva di pericoli in casa, mentre loro combattono con la lancia; / pensando male (però): giacché tre volte di fianco allo scudo / preferirei stare piuttosto che partorire una sola volta».
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