vv. 511-567
(primo stasimo: riassunto)
vv. 511-514: ἀμφί μοι Ἴλιον, ὦ / Μοῦσα, καινῶν ὕμνων / ἄεισον ἐν δακρύοις ᾠδὰν ἐπικήδειον·, «O Musa, cantami intorno a Ilio / di inni nuovi / un canto funebre tra le lacrime».
Inizia qui il primo stasimo con un’invocazione alla Musa affinché canti nelle lacrime. È un primo accenno alla “poetica delle lacrime” ripresa poi nel secondo episodio, sempre dal corifeo.
vv. 568-629
(inizio secondo episodio: riassunto)
Viene qui sviluppata la “poetica delle lacrime”, cioè l’idea che la poesia deve consolare chi soffre con situazioni che grondano lacrime.
Così si esprime il coro ai vv. 608-609: ὡς ἡδὺ δάκρυα τοῖς κακῶς πεπραγόσι / θρήνων τ’ ὀδυρμοὶ μοῦσά θ’ ἣ λύπας ἔχει, «che cosa dolce le lacrime per chi è caduto nella miseria / e i gemiti dei lamenti e la musa che abbraccia le pene».
Il concetto si trova esposto in modo compiuto nella Medea, del 431 a.C.
Euripide, Medea, 194-204.
σκαιοὺς δὲ λέγων κοὐδέν τι σοφοὺς
τοὺς πρόσθε βροτοὺς οὐκ ἂν ἁμάρτοις,
οἵτινες ὕμνους ἐπὶ μὲν θαλίαις
ἐπί τ' εἰλαπίναις καὶ παρὰ δείπνοις
ηὕροντο βίῳ τερπνὰς ἀκοάς·
στυγίους δὲ βροτῶν οὐδεὶς λύπας 195
ηὕρετο μούσηι καὶ πολυχόρδοις
ὠιδαῖς παύειν, ἐξ ὧν θάνατοι
δειναί τε τύχαι σφάλλουσι δόμους.
καίτοι τάδε μὲν κέρδος ἀκεῖσθαι
μολπαῖσι βροτούς· ἵνα δ' εὔδειπνοι 200
δαῖτες, τί μάτην τείνουσι βοήν;
τὸ παρὸν γὰρ ἔχει τέρψιν ἀφ' αὑτοῦ
δαιτὸς πλήρωμα βροτοῖσιν.
«Dicendo stolti e per niente sapienti / i mortali di un tempo non sbaglieresti, / essi che trovarono per feste / e banchetti e durante le cene / inni (che sono) un piacevole ascoltare per la vita; / nessuno invece trovò (il modo di) far cessare / con la poesia e con i canti dai molti toni / le odiose sofferenze dei mortali, per le quali morti / e terribili casi abbattono le stirpi. / Eppure questo sì sarebbe un guadagno, sanare / coi canti i mortali; ma dove lauti / sono i banchetti, perché tendono la voce invano? / Infatti la già presente abbondanza della mensa / comprende da sé gioia per i mortali».
Troviamo una bella espressione di questa poetica anche nella letteratura latina, in, Virgilio, Eneide, I, vv. 459-62; Enea, naufragato va in esplorazione e si imbatte in un tempio dove sono istoriate le imprese di Greci e Troiani nella guerra di Troia, e trova consolazione nelle lacrime che compatiscono le sofferenze umane:
Constitit, et lacrimans, “Quis iam locus” inquit “Achate,
quae regio in terris nostri non plena laboris?
En Priamus! Sunt hic etiam sua praemia laudi;
sunt lacrimae rerum et mentem mortalia tangunt
«Si arrestò, e piangendo, ‘Che luogo ancora’ disse ‘Acate, / che regione sulla terra non è piena della nostra sofferenza? / Ecco Priamo! Ci sono anche qui le sue ricompense per la gloria; / ci sono le lacrime per le imprese e le vicende dei mortali toccano il cuore».
Ecuba constata affranta ai vv. 612-613:
ὁρῶ τὰ τῶν θεῶν, ὡς τὰ μὲν πυργοῦσ’ ἄνω / τὸ μηδὲν ὄντα, τὰ δὲ δοκοῦντ’ ἀπώλεσαν, «vedo il comportamento degli dèi, come innalzano / chi non vale nulla, mentre mandano in rovina chi è reputato».
Aggiunge poi al v. 616: τὸ τῆς ἀνάγκης δεινόν, «terribile il potere della necessità», rassegnata alla perdita di Cassandra portata via a forza. Andromaca però deve affligerla con l’ulteriore disgrazia della morte dell’alltra figlia Polissena, sgozzata sulla tomba di Achille da Aiace per vendicare la morte del Pelide (nell’Ecuba la protagonista cerca di dissuadere i Odisseo con queste parole (v. 278): μηδὲ κτάνητε· τῶν τεθνηκότων ἅλις, «non uccidetela: ce n’è abbastanza di morti».
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