Il concetto di «obiettività epica» è stato formulato da Santo Mazzarino (Il pensiero storica classico, vol. I, Oriente e occidente, pp. 174-7; 186-7) per caratterizzare la storiografia antica:
«Erodoto condanna senza appello la tirannide sulle città greche; ma nei suoi racconti persiani non c'è mai l'eco di una condanna teorica della monarchia persiana (cf. il dibattito costituzionale dove Dario vince con l'argomentazione che a loro la libertà è giunta da un re)... La nostra logica è rettilinea, astratta; quella dei Greci è sempre aperta al contrasto. Nell'Oresteia di Eschilo Díka Díkai (xymbaleî)1 «Dika si scontrerà con Dika»: ci possono essere due Dikai, due Giustizie nel caso dell'Oresteia, quella «matriarcale» di Clitennestra (e delle Erinni, a cui il ghénos di Eschilo non può sacrificare) contro quella «patrilinea» di Oreste (e di Apollo, il dio degli Alcmeonidi legati al ghénos Eupatrida di Eschilo). Così in Erodoto: c'è la «tirannide» dei Greci nemica di Dike; ma c'è anche la «tirannide» di Deioce per cui i Medi hanno kósmos ed eunomía, e la «tirannide» di Ciro, dalla quale i Persiani ricevono «libertà», eleuthería... Così Erodoto può narrare con entusiasmo la lotta di Atene per la libertà greca — e tuttavia guardare con epico distacco la vicenda di lutti che la guerra portò... Questa logica erodotea fondata su contrasti che non s'irrigidiscono mai, è l'ostacolo più grave che si frappone fra la sua Esposizione di ciò che ho appreso e la consequenziaria critica di noi moderni. In un certo senso, non è pensabile distacco maggiore di quello che separa la storiografia classica, cioè la storiografia del 5° secolo a. C., dalla medioevale e moderna. Per l'uomo medioevale-moderno la via della storia è una sola: continuo «giudizio di Dio» in cui le antitesi si risolvono una volta per sempre. Ma per l'uomo erodoteo la storia umana può seguire ideali diversi ed ugualmente validi; le parallele possono scontrarsi, e tuttavia continuare nel loro cammino...
Erodoto riteneva di essere «obiettivo» in tutto ciò, all'istesso modo in cui l'epos era «obiettivo» quando descriveva, per esempio, l'aristeía di Diomede... L'interpretazione erodotea della vicenda storica aveva la sua caratteristica non in una ideologia sentita, come può accadere all'uomo moderno; ma in una originale adesione alla società del suo ambiente, che si muoveva sulla via segnata dalle aristocrazie e dalla religiosità tradizionale. La sua logica restava sempre quella che dicemmo: possono esserci diverse linee conduttive della storia... Il mondo aristocratico dei Greci si fonda su questa «obiettività» epica.
Possiamo trovare il germe delle considerazioni di Mazzarino in Nietzsche (Umano, troppo umano, I, Parte seconda, Per la storia dei sentimenti morali):
45. Doppia preistoria del bene e del male. Il concetto di bene e male ha una doppia preistoria: cioè da un lato, nell'anima delle stirpi e caste dominanti. Chi ha il potere di rivalsa... viene detto buono; chi è impotente e non può rivalersi, viene considerato cattivo... I buoni sono una casta, i cattivi una massa, come polvere. Buono e cattivo equivale per un certo tempo a nobile e basso, a signore e schiavo. Per contro il nemico non è ritenuto cattivo: egli può rivalersi. Il Troiano e il Greco sono in Omero entrambi buoni.
Il capostipite è naturalmente Erodoto, proemio, dove vengono messi sullo stesso piano I Greci e i Persiani (sconfitti a Maratona e Salamina nel 490 e 480 a.C.):
Ἡροδότου Θουρίου ἱστορίης ἀπόδεξις ἥδε, ὡς μήτε τὰ γενόμενα ἐξ ἀνθρώπων τῷ χρόνῳ ἐξίτηλα γένηται, μήτε ἔργα μεγάλα τε καὶ θωμαστά, τὰ μὲν Ἕλλησι, τὰ δὲ βαρβάροισι ἀποδεχθέντα, ἀκλέα γένηται, τά τε ἄλλα καὶ δι' ἣν αἰτίην ἐπολέμησαν ἀλλήλοισι,
«questa è l’esposizione della ricerca di Erodoto di Turi (Alicarnasso), affinché gli eventi scaturiti dagli uomini col tempo non siano dimenticati e le imprese grandi e meravigliose messe in luce alcune dai Greci, altre dai Barbari, non siano prive di gloria, e tra le altre cose anche per quale causa combatterono tra loro».
Altri esempi si trovano in Sallustio (De Catilinae coniuratione, LXI) dove lo storiografo ha parole nobili per Catilina sconfitto:
Catilina vero longe a suis inter hostium cadavera repertus est, paululum etiam spirans ferociamque animi, quam habuerat vivos, in voltu retinens.
«Catilina invece fu trovato lontano dai suoi tra i cadaveri dei nemici, mentre respirava ancora un po’ e tratteneva nell’espressione del volto la fierezza d’animo che aveva avuto da vivo». Nella descrizione del momento supremo l’autore riconosce dignità al nemico sconfitto.
Tacito (Agricola, 30) fa pronunciare all’avversario di suo suocero le parole più belle che siano state dette contro ogni imperialiso:
Romani, quorum superbiam frustra per obsequium ac modestiam effugias. Raptores orbis, postquam cuncta vastantibus defuere terrae, et mare scrutantur: si locuples hostis est, avari, si pauper, ambitiosi, quos non Oriens, non Occidens satiaverit: soli omnium opes atque inopiam pari adfectu concupiscunt. Auferre, trucidare, rapere, falsis nominibus imperium, atque, ubi solitudinem faciunt, pacem appellant.
«I Romani, dei quali invano puoi evitare la superbia con la sottomissione e la docilità2. Rapinatori del mondo, dopo che a loro che devastano tutto sono mancate le terre, scrutano il mare: se il nemico è ricco sono avidi, se è povero bramosi di potere, essi che non l’Oriente, non l’Occidente possono saziare: soli tra tutti bramano con uguale slancio ricchezza e povertà. Rubare, massacrare, rapire lo chiamano con falsi nomi impero e dove fanno un deserto lo chiamano pace».
Tuttavia questa obiettività è riservata al nemico esterno, con quello interno l’atteggiamento è diverso. Sentiamo ancora Santo Mazzarino, Il pensiero storico classico, II, 6, 13 (pag. 469):
«La guerra contro il nemico esterno, Brasida (in Tucidide) o Mitridate (in Sallustio) o Calgaco (in Tacito), conserva qualcosa (avrebbe detto Burckhardt) di « agonale»; l'opposizione di politica interna, contro Cleone (in Tucidide) o contro la superbia degli ottimati (in Sallustio) o contro il principato senza libertà (in Tacito), ha poco, o nulla, di agonale. Questi storici, Tucidide Sallustio Tacito, cercano l'« obiettività» così quando trattano di politica esterna, come quando toccano di quella interna; tuttavia, assai spesso appaiono a noi più « obiettivi» nell'interpretazione del punto di vista di avversari esterni. Il fenomeno, che all'uomo moderno (abituato alle guerre di religione, e dunque all'odio teologico del nemico) può sembrare paradossale, caratterizza, appunto, la storiografia antica».
1 Coefore, 461, Ἄρης Ἄρει ξυμβαλεῖ, Δίκᾳ Δίκα, «Ares si scontrerà con Ares, Giustizia con Giustizia».
2 Qui Tacito sembra voler smascherare la celebrazione dell’imperialismo romano che si trova in Virgilio, Eneide, VI, vv. 851-853: tu regere imperio populos, Romane, memento / (hae tibi erunt artes), pacique imponere morem, / parcere subiectis et debellare superbos, «Tu, Romano, ricorda di regnare sui popoli con imperio / (queste saranno le tue arti), imporre il costume della pace, / risparmiare chi si è sottomesso e sterminare i superbi». Sono le parole con cui Anchise sintetizza la missione che spetterà al figlio Enea in Italia, fondando la stirpe romana.
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